
di Davide Orsini
Non mi capita spesso di elogiare questa Amministrazione Comunale, ma oggi devo confessare di aver molto apprezzato l’iniziativa di candidare Orvieto a Capitale Italiana della Cultura 2025. Mi pare una mossa azzeccata per due motivi, sostanzialmente. Il primo ha a che fare col coraggio delle idee ambiziose. La candidatura assurge al rango dei progetti ambiziosi, di quelli che fanno fare il salto di qualità ad una realtà come Orvieto. Avessimo avuto sempre questa ambizione quando discutevamo di Caserma Piave! Qualcuno, in effetti, il coraggio lo ha avuto.
Lo ebbe Franco Barbabella col suo progetto di Vigna Grande, e lo ebbe anche il compianto Antonio Barberani, quando avanzò l’ipotesi del concorso internazionale di idee. In fondo, una realtà come Orvieto dimostra ambizione ogni qualvolta riesca a trascendere i propri limiti, a pensare oltre se stessa, più in là del presente, insomma ad immaginarsi possibilmente migliore. La conferma che la sindaca ha pensato in grande si evince anche dalla nomina dei membri del comitato scientifico. Sono nomi importanti e di sostanza.
Alcuni potrebbero storcere il naso perché forse non rappresentano per intero la città ed il suo territorio, ma un bando come quello della Capitale della Cultura ha un formato e dei criteri di valutazione di cui bisogna tener conto. Quindi il progetto, oltre ad essere coerente e rispondere agli obiettivi dichiarati dal decreto istitutivo, deve anche essere comunicato. Servono volti e competenze specifiche. Bene dunque, teniamo le dita incrociate perché un eventuale successo della proposta farebbe vincere tutta la città, per cui è doveroso sostenere l’impresa.
Accanto al coraggio delle idee ambiziose, vedo la necessità di questa amministrazione di segnare un punto importante, dopo anni di stallo (certamente non interamente dovuto a fattori che dipendono dalla giunta – vedi pandemia, etc.). Programmare il futuro con le risorse che si hanno non è compito facile, e la sindaca ha forse avuto l’umiltà di affidare lo sviluppo di questo progetto a persone competenti al di fuori della giunta.
Ad Orvieto esiste una riserva di teste che forse bisognerebbe cominciare a consultare. Meno male. Costruire una proposta su un bando specifico richiede delle conoscenze e delle capacità specifiche che non possono essere improvvisate. Se la Tardani sarà premiata, forse riuscirà a far dimenticare tutti i limiti della sua Amministrazione. Credo che questo non sia l’ultimo dei suoi pensieri. L’audizione (trasmessa pubblicamente sul canale YouTube) della proposta avverrà tra pochi giorni.
È il momento cruciale. È paradossale che sul rettilineo della volata per aggiudicarsi il titolo di Capitale Italiana della Cultura oggi vediamo sventolare anche le bandiere della protesta. Cittadine e cittadini, associazioni e sindacati chiedono a gran voce che la Regione si occupi della disastrata sanità pubblica locale. Ormai è più di un anno che il tema occupa le prime pagine dei giornali. A questa amministrazione si imputa il fatto di non aver preso il disastro sanitario sul serio e di aver sempre dimostrato accondiscendenza nei confronti della Regione Umbria (oggi politicamente amica). Mi pare un giudizio giusto.
Ecco, questo disinteresse per i diritti fondamentali dei cittadini orvietani stride col tentativo di accreditarsi come Città della Cultura. Cultura può significare molte cose. Margaret Mead, la famosa antropologa statunitense, una volta spiegò che il segno più alto di cultura (intesa come civiltà) lei lo riscontrò durante uno dei suoi studi, notando che la comunità presso la quale viveva aveva sviluppato la capacità di prendersi cura dei suoi malati, non abbandonandoli al loro destino. Per Mead quello era il segno distintivo dell’essere umano.
Mi conforterebbe sapere che questa umanità risiedesse al centro della nostra identità culturale, e che la sindaca scendesse fra le persone della sua città per farsi carico dei loro bisogni primari. Questa battaglia di civiltà andrà avanti comunque, con o senza l’amministrazione. Forse questa battaglia è più importante di altre perché nasce dall’indignazione per la mancanza di rispetto di un diritto fondamentale, quello alla salute








