
di Mirabilia Orvieto
La Conferenza Episcopale Italiana e la Conferenza delle Regioni hanno firmato nel 2017 un protocollo d’intesa per una forma di collaborazione volta a valorizzare, anche ai fini turistici, il patrimonio culturale, storico e artistico ecclesiastico. La finalità è “massimizzare le sinergie e la collaborazione, a livello sia nazionale che regionale, attraverso la definizione di politiche e iniziative volte alla conoscenza e alla fruizione dei beni ecclesiastici, materiali e immateriali“. Ebbene di questa sfida si è resa conto la stessa CEI che ha invocato la necessità di “attivare processi di comunione di progetti tra comunità ecclesiale e comunità civile per una strategia coordinata e integrata“.
In questo senso l’intesa mette al centro le Chiese diocesane, le quali possono svolgere un ruolo decisivo nel processo di valorizzazione dell’arte sacra contribuendo con un “proprio apporto peculiare” capace di guardare all’enorme “cambiamento d’epoca”. Grazie a questo prezioso strumento si costituisce per la prima volta un felice connubio tra istituzioni civili e religiose con lo scopo di creare dei tavoli permanenti di lavoro, a livello regionale e nazionale. Un ruolo decisivo lo hanno perciò le Chiese diocesane che nella loro lunga storia si sono sempre impegnate nella valorizzazione dell’arte sacra, dal II Concilio di Nicea del 787 fino ai giorni d’oggi con il Vaticano II.
In questa direzione sarà possibile realizzare un solido legame tra arte, cultura e sviluppo inteso come educazione, creatività, studio, innovazione ma anche come occupazione sociale. Ogni bene culturale non appartiene al passato, ma, per così dire, deve essere ‘attualizzato’ attraverso la riscoperta di quei significati che fanno di ogni capolavoro qualcosa di vivo, dinamico e partecipativo. In breve, il turista deve tornare ad essere il ‘viaggiatore’ di una volta che visitava i luoghi di cultura e di spiritualità uscendone rinnovato!

Occorre quindi ‘ripensare’ in modo completamente nuovo obiettivi, strutture, metodi e principi, per ridare un’anima ai nostri monumenti che troppo spesso rischiano di essere banalizzati, indeboliti o persino snaturati. Ci basta “un colpo di flash” dai nostri telefonini – sottolinea Antonio Natali, storico dell’arte – per dire di “esserci stati“. In altre parole non si può godere di un capolavoro senza averlo capito: praticamente “lo guardiamo ma non lo vediamo“. La sfida dei nostri tempi è quella di trasformare lo spettatore passivo a protagonista dell’opera d’arte e per far questo deve cambiare il modo di approcciarsi all’arte.
Per esempio quegli incredibili corpi umani, ritratti dal Signorelli nella cappella di san Brizio nel duomo di Orvieto così unici per stile, tecnica e saggezza umana, non rappresentano forse molto di più che un suggestivo fumetto del ‘500? “La pittura – commenta l’artista messicano José Orozco(1883-1949) – non è un divertimento o la glorificazione di singoli individui, ma ha una funzione sociale ed esprime qualcosa che il suo tempo e la sua terra cercano di dire, qualcosa di profetico…“. In questo senso non c’è niente di più profetico dell’Apocalisse di Orvieto, che Signorelli tratta con un rigore e una completezza che non hanno uguali nella storia dell’arte. Per far rivivere questa mirabile opera non bastano dunque le tradizionali illustrazioni di storia e di arte, con tanto di nomi, date e stili, ma occorre ridare un’anima a vicende che hanno perduto col tempo il loro significato. Chi entra oggi nella cappella non vede solo delle mirabili storie bibliche, così lontane dal nostro mondo e dalla nostra storia. Al contrario, assiste alla rivelazione del mistero stesso della storia, un mistero eterno e universale.
Qui può comprendere perché il Male ha le sembianze del Figlio di Dio; perché i risorti, uscendo nudi dalla terra, popolano in armonia e pace una pianura completamente deserta; perché i dannati dell’inferno sono schiacciati al suolo da feroci demoni, mentre nel paradiso gli angeli sollevano da terra gli eletti. Nel vorticoso succedersi di avvenimenti si spalanca dunque l’appassionante dramma dell’esistenza umana che volge verso un compimento finale dove sarà determinante il libero arbitrio dell’uomo.

Proprio attraverso queste straordinarie immagini, Signorelli ha rivoluzionato il modo di intendere l’arte descrivendo con grande forza comunicativa la storia e lo spirito del suo tempo, ma anche del nostro tempo. Vedere l’Apocalisse significa allora diventare un ‘contemplante’, significa cogliere il ‘messaggio’ dietro l’immagine e riscoprire l’insegnamento che Messer Luca ha voluto sviluppare con le sue grandiose scene apocalittiche. Nel Patrimonio artistico italiano – dichiara la Costituzione all’articolo 9 – è condensata la ‘biografia spirituale’ di una nazione per cui ‘adottare’ un capolavoro significa ritrovare la propria identità nazionale. Sono moltissimi i beni culturali che rivestono in Italia particolare importanza, sia in termini turistici che di inclusione sociale, ed è interesse di tutti renderli vivi e visitabili.
Per giungere a questo occorre prima di tutto un approccio nuovo alla fruizione dell’arte sacra in grado di trasformare la bellezza, sempre più fagocitata dal marketing turistico, in uno strumento vivo d’identità e di memoria che riesca finalmente ad appassionare la gente: insomma un passato capace di aprirsi al futuro! In pratica servono delle conoscenze e dei linguaggi più adatti alla cultura e alla spiritualità contemporanee per restituire ai beni ecclesiastici tutto il loro valore simbolico e attuale, utile agli uomini e alle donne di oggi.
Memoria e creatività, tradizione e innovazione, passato e modernità: solo dove si riuscirà a trovare un’intesa fra gli opposti, le città potranno progredire e progettare ciò che l’occhio ancora non vede, scavando prima di tutto dentro alle pietre e agli affreschi delle loro cattedrali in cui è racchiusa l’anima di un popolo e di un territorio, ma anche l’anima d’Europa.









