di Massimiliano Bottoni
Il tema caldo degli ultimi giorni è rappresentato, senza ombra di dubbio, dalla nuova accelerazione dell’inflazione che i dati dell’ultimo mese ci testimoniano. Se le ragioni della risalita dei mercati nel periodo ottobre-gennaio traggono spiegazione proprio da indici inflazionistici ed economici che hanno sorpreso rispettivamente al ribasso ed al rialzo, nel corso degli ultimi 30 giorni si è assistito ad una revisione peggiorativa delle stime.
Il mercato si è dunque dimostrato, come spesso accade, poco lungimirante ed affetto dal cosiddetto “optimism bias” o bias dell’ottimismo. Si tratta di un pregiudizio cognitivo che induce chi ne soffre a percepire il futuro in maniera più positiva di quel che lo scenario attuale lascerebbe ipotizzare, spesso è conseguenza di un lungo periodo negativo seguito da un breve momento di rilassamento; esattamente ciò che stiamo sperimentando a livello finanziario. Dopo un annus horribilis come il 2022 gli attori finanziari, assetati di buone notizie, hanno deciso di sopravvalutare alcuni dati leggermente positivi, provenienti da un piccolo rallentamento dell’inflazione e da un’economia reale che batte di poco le stime di crescita e produzione.
Ecco che un mercato eccessivamente ottimistico, oggi, si trova a dover fare i conti con la realtà, dove è concretamente quasi impossibile ottenere un rallentamento dell’inflazione (assoluta priorità di governi e banche centrali di tutto il mondo) senza pagare il prezzo di una, seppur lieve, recessione.
A livello pratico quindi assistiamo ad un andamento azionario che torna ad essere negativo a causa dei rinnovati timori di un rallentamento ciclico, mentre alla stessa maniera gli asset obbligazionari perdono di valore accusando il ritorno del tema del rialzo dei tassi di interesse, conseguenza della mancata decelerazione dell’inflazione. La “buona notizia” consiste nel fatto che la recessione a cui sembra si stia andando incontro non dovrebbe essere acuta, per mercati ed economia reale, come l’ultima che abbiamo vissuto (2008/2009).
Alcuni indicatori, come i più alti livelli di capitale liquido nei bilanci delle banche ed il migliore rapporto Pil/debito procapite delle famiglie rispetto ai dati del 2008, ci suggeriscono che è probabile si assista ad una stagnazione, più che ad una depressione, il che comporterebbe ripercussioni decisamente meno pesanti sia dal punto di vista reale che finanziario.