
di Mirabilia Orvieto
Se da un lato si può considerare l’abbandono della religione come un fenomeno normale nella storia evolutiva dell’umanità, bisogna tener presente che esso è molto diffuso in Occidente. Certamente questa situazione si deve al fatto che esso ha raggiunto la sua indipendenza dalla tutela della religione molto più rapidamente di altri Paesi che hanno mantenuto quasi completamente le loro tradizioni culturali e religiose.
La crisi del cristianesimo parte da molto più lontano. Basta pensare all’impulso culturale e sociale dell’Umanesimo e del Rinascimento, dell’Illuminismo e della rivoluzione industriale, dell’era delle scienze e della tecnologia del XX e XXI secolo. La crisi religiosa dell’Occidente può anche dirsi una “crisi d’identità” dove l’individuo non si riconosce più nelle “verità”, nei principi, nelle convinzioni e nei valori del passato e che l’aveva per così dire “programmato”, forgiando la sua personalità e le sue idee. Questa nuova cultura dell’indifferenza religiosa, frutto di un processo graduale di secolarizzazione e scristianizzazione che dura da almeno cinque secoli, è la prova inconfutabile e fragorosa del nostro tempo.
Oggi le mentalità sono tali che la gente non è più disposta ad accettare imposizioni dall’esterno(basta guardare a cosa accede oggi nei regimi totalitari!), affermazioni basate sulla cosiddetta “autorità” e tanto meno su “verità” che non siano provate da solide argomentazioni. L’uomo è diventato ormai refrattario al cristianesimo e al modo con cui vienepredicato. Il messaggio evangelico non fa più riflettere, non riesce più a interrogare e ad aprire nuovi orizzonti, al contrario s’illude di dare certezze e sicurezze che paralizzano la vita piuttosto che svilupparla,
senza dire praticamente nulla sul Mistero di Dio. In tutto questo c’è anche il male di cui l’essere umano è ritenuto responsabile, trattato da Dio come un colpevole e un peccatore che per quanto si sforzi e preghi non riuscirà mai a cambiare né se stesso, né le persone attorno a lui.
Il risultato? Che ci si trova a vivere delle vite tristi e represse, segnate da fallimenti e sensi di colpa, con la costante paura di “perdere l’anima” semmai si cadesse nella tentazione di cercare il piacere della vita: un cristianesimo così non serve più a nessuno, neanche a chi lo pratica. Come si può dar torto a coloro che vedono nella Chiesa più che la forza rivoluzionaria del Vangelo, un’Arca di disperati che vaga in mezzo al “mare della vita” senza un timone e, quindi, senza meta perché non sa dove andare.
Come al tempo di Noè, l’acqua della morte invade tutto senza lasciare scoperto un lembo di terra, una minuscola isola dove approdare e salvarsi; sopra c’è un cielo completamente ricoperto da nubi nere e minacciose che non lasciano trasparire neanche un po’ di sole o la fievole luce di una stella. I naviganti sono in balìa degli eventi della storia e, dunque, non possono che sperare di non affondare nella tempesta che alza onde gigantesche dove non c’è scampo per nessuno. L’esistenza si riduce così a un sopravvivere, un “vivacchiare” tra tribolazioni e sciagure in attesa della morte. Eppure, da quell’Arca della disperazione, Dio sperava che uscisse una nuova generazione d’umanità, e cioè una “barca di pescatori” capaci di pescare vita dalla vita, portando a riva un così gran numero di pesci da rompere le reti e sfamare tutti gli uomini!
Ma molte volte sono proprio gli uomini di fede i primi a non vedere che il mondo è stato creato da Dio e donato all’uomo, ad Adamo, perché esso diventi tutt’altro che un luogo di desolazione e disperazione:
“Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi. Egli infatti ha creato tutto per l’esistenza;
le creature del mondo sono salutifere, in esse non c’è veleno di morte, né gli inferi regnano sulla terra”.
(Sapienza 1,13-14)








