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Home Parrano

Consiglio comunale approva intitolazione tre nuove vie a Bernardo Bulgarelli, Orazio Marescotti ed Enrico Berlinguer

Redazione by Redazione
8 Ottobre 2022
in Parrano, Territorio, Archivio notizie
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Venerdì 7 ottobre si è riunito il Consiglio Comunale di Parrano. Quattro i punti iscritti all’ordine del giorno:
1) Variazione di bilancio
2) Comunità Energetica Alto Orvietano – Adesione del Comune di Parrano
3) Tratto di strada Pievelunga – Presa d’atto del nuovo tracciato e sdemanializzazione
4) Intitolazione di aree e spazi pubblici a personalità che hanno onorato il Comune di Parrano e segnato la storia dell’Italia: Bernardo di Bulgarello, Orazio Marescotti ed Enrico Berlinguer.

I primi tre punti sono stati approvati con l’astensione dell’opposizione, mentre l’ultimo punto è stato approvato all’unanimità. Quindi, sarà modificata la denominazione di Via di sopra in Via Oranzio Marescotti e sarà modifica il tratto di Via XX Settembre che si collega con Via di sopra in Via Bernardo Bulgarello. Prevista, poi, l’intitolazione della nuova via a servizio della lottizzazione zona UC.2 sub comparto UC.2C che si incrocia con la Strada Provinciale 104 di Frattaguida

Di seguito tre brevi biografie dei tre personaggi:

Bernardo di Bulgarello
Nel 1118 il vescovo di Orvieto Guglielmo, nel mese di aprile, concede i diritti feudali su Parrano, con il titolo di conte, a Bernardo di Bulgarello, a sua moglie Persona, e a i suoi fratelli Gualfredo e Ugolino, in cambio del giuramento di fedeltà e dalla promessa di non cederlo ad alcuno (contratto feudale). L’atto viene stipulato in una località chiamata Pragule posta fra il castello di Parrano e il fiume Chiani (Actum est hoc Pragule inter Castrum Parrani, et fluvium Clanis) – Archivio Vescovile, B, carte 103 v -. Oggi si è portati a ritenere che tale località potrebbe identificarsi in un antichissimo insediamento rurale chiamato, forse per corruzione fonetica, Fabbriche, posto appunto, fra il castello di Parrano e il fiume Chiani. Quindi, dal XII secolo i Bulgarelli, una delle Casate più potenti dell’Etruria, fanno il loro ingresso nella storia del territorio orvietano. Discendenti da una stirpe di origine longobarda, nell’arco di pochi anni riusciranno a creare un piccolo impero (uno dei più grandi dell’Italia centrale) il quale comprende i territori e i castelli di Parrano, Monteleone d’Orvieto, Montegiove, Civitella dei Conti e perfino Castel della Pieve (odierna Città della Pieve). Il capostipite di questa Casata nobiliare sarà un tal Bulgarello (e da qui il cognomeBulgarelli), il cui figlio Bernardo, come sopra detto, ha in concessione il castello di Parrano e “Parrano fu il primo possedimento umbro dei Bulgarelli e da lì estesero il loro dominio feudale come una grande ragnatela..” Parrano diventa il fulcro di potere della famiglia, ormai denominata conti di Parrano, dalla quale poi, si ramificherà in diversi tronconi, quali Parrano Montegiove Marsciano, mantenendo unito e indivisibile il vasto patrimonio, ma assumendo ognuno il titolo di conte, derivante dal proprio feudo. Nel periodo feudale hanno modo di scontrarsi più volte con i vescovi che si succedevano nella cattedrale di Orvieto, poichè ogni nuovo prelato esige un diverso accordo sui tributi di vassallaggio da versare alla Curia, ovviamente, per lui più vantaggiosi, a discapito del feudatario. Comunque, il feudo parranese, a differenza degli altri limitrofi, non fu mai assoggettato alla Città di Orvieto, e rimase sempre “un piccolo stato a se” fino alla fine dell’abolizione del feudalesimo avvenuta nel 1816.

Orazio Marescotti
Figlio di Sforza Marescotti e di sua moglie, Eleonora Falconieri, era nipote di Prudenza Gabrielli Capizucchi e del cardinale Alessandro Falconieri, nonché cugino del principe Francesco Maria Marescotti Ruspoli. Il 10 ottobre 1733, Papa Clemente XII elevò la contea di Parrano al rango di principato indipendente a favore di Orazio Marescotti che ne divenne così il primo principe.
Nel 1757 venne eletto senatore a Roma e fu nel contempo prescelto quale cameriere di cappa e spada soprannumerario di Papa Benedetto XIV. Fu protettore dell’artista marchigiano Sebastiano Ceccarini il quale dipinse per lui l’ Allegoria dei cinque sensi, dipinto rappresentante i figli da lui avuti dalla prima moglie, col chiaro intento nel contempo di presentarli agli esponenti della nobiltà romana essendosi i Marescotti trasferiti da poco nella Città Eterna ed avendo fatto fortuna con l’apparentamento coi Ruspoli e l’acquisizione del titolo principesco. Il quadro venne esposto al Pantheon di Roma in una mostra di artisti romani nel 1750.

Enrico Berlinguer
Nasce il 25 maggio del 1922 a Sassari. Nella cittadina sarda trascorre l’infanzia e l’adolescenza, frequenta il liceo e nel 1940 si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza. Nell’agosto del 1943 aderisce al PCI. Inizia allora il suo impegno politico con la partecipazione alle lotte antifasciste dell’Italia di Badoglio dove impera la guerra civile. Nel gennaio del 1944 viene arrestato con l’accusa di essere il principale istigatore delle manifestazioni per il pane. Resta in carcere quattro mesi. A settembre si trasferisce a Roma con la famiglia e poi a Milano.
La sua carriera politica inizia nel gennaio del 1948 quando a 26 anni entra nella direzione del partito e un anno dopo diventa segretario generale della FGCI, la Federazione giovanile comunista. E’ un uomo instancabile, lontano dalla mondanità e dai clamori della politica. Nel 1956 lascia l’organizzazione giovanile e nel 1958 entra nella segreteria per affiancare Luigi Longo, vice segretario e responsabile dell’ufficio di segreteria. Da allora il rapporto tra Berlinguer e il segretario Togliatti diviene quotidiano. Nel 1972 Berlinguer diviene segretario del PCI e al XII congresso riprende la formula togliattiana della collaborazione tra le grandi forze popolari: comunista, socialista e cattolica. Nel 1976 accanto alla proposta del compromesso storico, Berlinguer rompe con il Partito Comunista sovietico. A Mosca, davanti a 5 mila delegati Berlinguer parla del valore della democrazia e del pluralismo, sottolinea l’autonomia del PCI dall’URSS e condanna l’interferenza dei sovietici nelle questioni dei partiti socialisti e comunisti degli altri paesi. E’ l’eurocomunismo. Il resto della sua vita è storia dei giorni nostri. Berlinguer un uomo che sapeva cambiare idea su temi dirimenti come la questione delle donne: al ritorno dal suo primo viaggio in Unione Sovietica (1946) ad amici e parenti che gli chiedono come sono le donne laggiù, risponde: “In URSS non ci sono donne, ci sono compagne sovietiche”.
Negli anni 50 propone come esempio di virtù per le ragazze italiane Maria Goretti, la santa bambina morta per difendere la propria verginità. Negli anni 70 giudica severamente le femministe: “Non possiamo accettare un’ideologia che individua nel dominio dell’uomo sulla donna la caratteristica fondamentale dell’attuale società”; ma negli anni 80 arriva ad affermare, nello sconcerto di molti suoi compagni: “Questo secolo ha avuto tre grandi rivoluzioni: quella sovietica e cinese, il movimento anticoloniale degli anni Cinquanta e il movimento delle donne”.
Uno “strano comunista” come lo definiva la stampa americana, che non riuscì a portare a termine il suo progetto di comunismo democratico, ma che aveva una sorprendente capacità di leggere il futuro: per esempio, a proposito della rivoluzione informatica. Lui abituato a scrivere ancora a mano i suoi discorsi, immagina che l’informatica potrà allargare moltissimo il campo della conoscenza, potrà arricchire la vita degli esseri umani. “ma è inaccettabile”, sostiene quasi indovinando il nostro presente “una democrazia elettronica che voglia sostituirsi alla vita democratica. Nessuno riuscirà mai a reprimere la naturale tendenza dell’uomo a discutere, a riunirsi, ad associarsi”. Uno “strano comunista” che nel 1981, in un’intervista a Eugenio Scalfari, accusa la classe politica italiana di corruzione, sollevando la cosiddetta questione morale. Denuncia l’occupazione da parte dei partiti delle strutture dello Stato, delle istituzioni, dei centri di cultura, delle Università, della Rai, e sottolinea il rischio che la rabbia dei cittadini si trasformi in rifiuto della politica. E’ l’analisi di un grande leader politico che l’11 giugno del 1984 a Padova, mentre conclude la campagna elettorale per le elezioni europee, viene colpito da un ictus. Il suo funerale è stato il più imponente della storia d’Italia, dopo quello di Giovanni Paolo II. A Roma erano milioni i cittadini che lo salutarono l’ultima volta.

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