di Danilo Stefani
Si ricomincia a respirare. Il ritorno in città, ovvero in quel calore conservato ed effuso da ogni cosa capace di incamerare vampate di afa fino a formare una solida camera di tortura, riprende la sua vitalità dopo la dovuta quantità di pioggia caduta e tanto desiderata. È bella la pioggia, in proporzione a quanto si sogna. Perfino solo pensarla, è incantevole; soprattutto in campagna, mentre viene giù a formare migliaia di rigagnoli, e poi pozzanghere lì dove non vi era che terreno desertico, e tra gli alberi, tra i fiori, tra le colture sofferenti. È la vita che riprende, purtroppo anche con i suoi disastri.
I disastri del maltempo con le sue povere vittime, che sono l’eccesso in un mondo devastato dall’incuria umana. Poi si nasce con la camicia, o a petto nudo, ma con la morte sempre in tasca. Ma abbiamo anche le tasche dove infilare le mani e girare vagabondi alla maniera di chi ormai se ne infischia di tutto, oppure una tasca pregiata dove si conserva una cartella elettorale per il 25 settembre.
Sulle “vittime” di quel giorno, giorno tanto nobile sulla carta dei diritti e doveri, scende una pioggia di promesse: milioni di alberi da piantare, migliaia di alloggi popolari da costruire, la fine rapida della dipendenza energetica, il sostegno, lo sviluppo e il taglio delle tasse, l’aumento delle pensioni minime, e così via. Ma le coperture? Quello che prevale, per ora, è una desolante massa di insulti a coprire il tempo politico che ci separa dal giorno fatidico.
E scende un’infida pioggia su chi non fa accordi elettorali, ma pensa già a quelli post elettorali. Sono le “anomalie di questa legge”, dicono gli interessati. Come se tale legge fosse stata fatta da un Dio difettoso, ma inappellabile.
“Sangue, fatica, lacrime e sudore” era la promessa di Winston Churchill al Regno Unito, nel 1940. Semplice, duro e diretto. Un discorso in tempo di guerra, certo. Però a noi non servirebbe, né in pace né in guerra. Cancelleremmo tutto con la prima pioggia disponibile.