di Danilo Stefani
L’argomento è tale, che richiederebbe pagine. In queste poche righe, pochi esempi. L’uomo è traditore quasi per definizione, la donna invece no, perché è noto che mai tradisce. Discutere su un contratto che ti sembra assurdo non è credibile, perché “tu vuoi risparmiare, punto”. Leggi un giornale piuttosto che un altro? Allora sei di destra o di sinistra, oppure filogovernativo (mentre invece volevi solo riflettere su quel che scrive quella “firma” piuttosto che un’altra). Fai una critica obiettiva su qualcuno? Quel qualcuno deve per forza esserti antipatico.
Ti vesti bene? Allora sei un fighetto con la puzza sotto il naso, non uno che tiene al proprio aspetto. Altro esempio, stavolta politico e sul personale: il segretario di un partito dice una cosa che ti piace? Sei di quel partito, senza se e senza ma. Fioccano le etichette dettate dal pregiudizio. Il quale è espressione ovvia di ignoranza e superficialità. “Siamo la nostra rappresentazione sociale”, scriveva Marcel Proust, non noi stessi. Il problema è ciò che rappresentiamo agli occhi degli altri. E come sono gli occhi degli altri? Come ci vedono? È un binocolo che ci osserva spesso al contrario, pronto a vedere il panorama come meno obiettivo non si può, e a quel punto sei visto nel “loro panorama” e devi rappresentare quella parte visiva della loro vita.
Eliminiamo il più possibile i pregiudizi. Amplieremo orizzonti con vedute a campo largo, e scopriremo che spesso niente e nessuno è come sembra nel binocolo rovesciato. Il pregiudizio che più dovrebbe offendere è l’incapacità di vederlo guardandoci allo specchio, per poter pensare, ogni tanto, che magari ci siamo sbagliati.
Sbagliare visione è umano, non pregiudizievole e fa bene alla salute. Riconoscerlo e farne tesoro; è un vaccino che non ha varianti che lo indeboliscano.