di Danilo Stefani
Tanto vollero, che il governo cadde. In realtà è bastata qualche spallata, dopo quella dell’apripista Conte. Tutti (o quasi) infischiandosi delle attuali emergenze italiane; che sono persino raddoppiate rispetto al momento dell’insediamento del Governo Draghi. Issate le bandiere di partiti e movimenti, e messa in soffitta quella tricolore di unità nazionale voluta da Mattarella al grido accorato di “dignità”, eccoci alle probabili elezioni anticipate.
In senso figurato, gergale, dal vocabolario Treccani, cos’è un drago? Vuol dire “essere un drago di persona che ha capacità eccezionali; meno spesso, impetuosa, violenta, scatenata”, e allora ci vorrebbe almeno un Drago con capacità eccezionali. Sull’orlo dell’abisso viaggiano invece molte “lucertole” dispettose, senza una metà precisa, tranne il posticino dove godersi il sole.
Per la fortuna di questo Paese, esistono le cosiddette persone comuni che non vivono mai abbastanza per illuminarci la vita con i loro lampi: di genio, di velocità, di schiettezza, di umanità faccia a faccia.
Tarcisio Lanfredi (detto, guarda caso, “Lampo”) era una di queste persone. Non lo troverete sui grandi giornali nazionali, ma su quelli bresciani. Aveva 67 anni, era un artista, un musicista che adorava la chitarra, il dialogo e la buona tavola. Appena tre mesi fa, era incontenibile.
Davanti a un caffè si mise a raccontare del suo periodo da militare a Spoleto. Nella nostra amata Umbria aveva raggiunto il grado di sergente (e ne parlava con il giusto orgoglio). Quanto entusiasmo, quanto brio in quel fiume di parole che per lui, malato da tempo, era un ritrovarsi nella buona salute riconquistata. Disse, infine: “Se stasera ho parlato così…sono tornato…sono ancora io”. Rincuorò tutti. La famiglia, “I Macc dè le Ure” – com’è chiamato il suo Gruppo musicale bresciano -, e tutti gli altri amici più vicini.
“Tarci”, purtroppo se né andato pochi giorni fa lasciandoci sgomenti e vuoti. Riempire quei vuoti sarà impossibile, ma onorarli sarà un dovere, ricordandolo con la musica e con un sorriso che alla fine ci strapperà. Benedetto testardo! Quanta dignità, caro presidente Mattarella.