di Gabriele Marcheggiani
Sono tornato a distanza di una settimana esatta ai giardini della rocca Albornoz e nulla è cambiato. Sette giorni prima, facendo due passi intorno casa ed entrando come spesso mi capita dentro la rocca, mi sono dovuto vergognare di risiedere in questa città e di essere un cittadino italiano. Quel giorno assieme a me, c’era un nutrito gruppo di turisti stranieri dal quale qualcuno si è staccato per visitare quei giardini da cui si gode un panorama mozzafiato, che magari non dirà più nulla agli orvietani, ma rimane una delle immagini più belle e significative della città. Peccato che i giardini della rocca facciano schifo, siano ridotti a uno schifo e più che un vanto, così come sono attualmente, siano una vergogna. Non dico degli eterni lavori incompiuti sui quali già si è scritto in passato e per i quali una giustificazione è stata data dall’amministrazione, uno spettacolo comunque indecente e indecoroso. Parlo dell’erba alta un metro ovunque, dell’incuria con cui è tenuta la fontana, dei vasi vecchi rotti, delle scritte sui muri, dei bagni pubblici tenuti come le peggiori latrine, delle immondizie pressoché ovunque, dei giochi per bambini completamente degradati, del fogliame accumulatosi lungo lo splendido camminamento perimetrale, dove tra aghi di pino e cartacce varie faceva bella mostra anche un assorbente da donna! Il turista straniero che era poco avanti a me, ha guardato il panorama magnifico verso il Peglia e i monti Amerini, non prima di aver osservato lo schifo con cui è tenuto il luogo, scuotendo la testa. Erano i giorni dello sfregio al duomo, della scritta con vernice fatta sulle mura del simbolo di Orvieto per antonomasia, i giorni in cui ci si stracciava le vesti indignati e i titoli dei giornali erano occupati unicamente da questo odioso atto vandalico. Uscendo dai giardini, quel giorno, mi domandavo perché le istituzioni, i giornali, l’opinione pubblica cittadina, non trovassero mai la forza per indignarsi e porre rimedio a uno scempio che va avanti da anni, proprio lì, a due passi da piazza Cahen e dalla funicolare, probabilmente il primo luogo che un visitatore che viene da fuori vede della città. Perché ci si indigna giustamente per la scritta sul duomo, cancellata comunque nel breve volgere di qualche giorno, e non si riesce a fare lo stesso per gli altri sfregi che vengono perpetrati dall’incuria, dall’inciviltà e dalla trascuratezza ai danni di Orvieto? Siamo sicuri che Orvieto meriti la candidatura a capitale della cultura? Veramente si pensa che promuovere la città sui social con video mirabolanti o nei pannelli della stazione Termini, basti per affermare l’immagine della città? Quale inmagine della città, dell’Italia, avranno quei turisti che hanno visto come siamo incapaci a gestire i tesori che abbiamo avuto in eredità? Sono tornato ai giardini della rocca esattamente una settimana dopo, prima di scrivere questo pezzo, sperando che nel frattempo lo scempio fosse stato sistemato: dopo pochi passi mi sono accorto che l’erba era alta un metro e mezzo e l’assorbente da donna era ancora là, spostato solo di qualche metro dal vento, probabilmente.
Non so se sia questione di mancanza di fondi o, peggio, di superficialità da parte di chi dovrebbe provvedere. È sicuramente una mancanza di rispetto nei confronti della città, della sua storia, dei suoi abitanti. I giardini della rocca albornoziana andrebbero chiusi, chiusi affinché nessuno veda e quantomeno noi non ci si debba più vergognare.