di Gabriele Marcheggiani
Riconnettere il Centro Studi con la città, affrontando al contempo i problemi derivanti dalla pandemia scatenatasi a poche settimane dall’insediamento del nuovo CdA, ma anche i progetti presenti e futuri e il discusso accordo con l’Università Europea. Sono questi i temi affrontati da Liliana Grasso, presidente del CSCO in un’intervista a tutto campo concessa al nostro giornale. Spigliata nelle risposte, senza reticenze, la Grasso ha tracciato un piccolo bilancio delle attività svolte in questi due anni e poco più di guida della Fondazione, anni non certo semplici, rispedendo al mittente le polemiche nate successivamente l’annuncio della partnership con l’UER, l’università romana fondata nel 2005 dalla congregazione dei Legionari di Cristo.
“Quando ci siamo insediati, nel novembre del 2019, abbiamo puntato su tre interventi fondamentali per far ripartire le attività del Centro Studi. Innanzitutto ricollegare la Fondazione alla città, perché negli ultimi anni si era avvertito uno scollamento, la Fondazione veniva vissuta quasi come un corpo estraneo e non per colpa di chi la gestiva, ci mancherebbe. Il CSCO è un centro di alta formazione, è nel suo core business e in effetti poche sono state le attività che hanno visto coinvolta Orvieto. Noi abbiamo pensato, al netto dei problemi pandemici, di aprire le porte dei nostri spazi all’associazionismo cittadino e alle collaborazioni con le altre istituzioni culturali, penso all’Opera del Duomo, al Museo Faina, alla Scuola di Musica “Adriano Casasole”, costruendo relazioni virtuose che spero cresceranno sempre di più. Inoltre abbiamo dovuto affrontare il problema che tutti conoscono del debito storico della Fondazione, del quale abbiamo parlato anche con l’amministrazione comunale e con i capigruppo consiliari, un problema annoso che però non deve inficiare lo sviluppo del Centro Studi. A questo proposito abbiamo provveduto a una riorganizzazione interna, sfruttando il fatto che con la pandemia tutte le attività fossero ferme, a cominciare dagli archivi e proseguendo poi con i processi interni che hanno permesso una migliore razionalizzazione del lavoro dei dipendenti e alla loro formazione”.
D – Immagino che nel frattempo abbiate partecipato a dei bandi…
“Esattamente, questo è il terzo obiettivo che ci siamo dati al momento dell’insediamento e non smetterò mai di ringraziare tutto il consiglio di amministrazione che si è messo totalmente a disposizione per fare questo in un periodo non facile. Purtroppo i tempi di risposta in Italia sono biblici, non solo in Umbria, ci vuole oltre un anno per la valutazione dei progetti presentati, su questi aspetti burocratici non possiamo che allargare le braccia e attendere fiduciosi che qualcosa ci venga comunicato. Nel frattempo abbiamo proseguito l’attività formativa di alto livello, fra gli altri un corso rivolto agli operatori che si occupano di disabilità mettendo in campo terapie innovative con gli animali, un corso a livello nazionale molto importante di cui in città si è parlato troppo poco e il nostro Filmaker Factory quest’anno alla sua seconda edizione”.
D – Com’è nato l’accordo con l’Università Europea, siete voi che avete cercato loro o viceversa?
“In realtà i primi contatti ci furono già nell’estate del 2019, ben prima del nostro insediamento, ma noi abbiamo fatto di tutto per siglare questo accordo. L’UER ha un dipartimento dedicato al turismo con una didattica che è in linea con le necessità del nostro territorio. Tutta la parte di ricerca e di progettazione per il turismo di tutta l’Area Interna, non solo per la città di Orvieto, si sposa con la nostra idea di sviluppo. Noi vorremmo riuscire a creare un Master in ambito turistico a Orvieto, questo è il nostro obiettivo finale”
D – Prendendo informazioni direttamente dal sito dell’istituzione, si legge che l’”Università Europea di Roma è un ateneo privato legalmente riconosciuto nata nel 2005 per volontà della Congregazione dei Legionari di Cristo”. Al di là delle tristi cronache di abusi sessuali che hanno riguardato questa congregazione e il suo fondatore a partire dal 2006 e che hanno costretto la stessa Santa Sede a intervenire decisamente…
“No la prego, non mi dica che sta per farmi questa domanda…trovo questa polemica assurda!”
D – Io la domanda gliela faccio lo stesso: dietro l’UER ci sono i Legionari di Cristo che hanno una storia che ha riguardato più la cronaca che altro, almeno fino al 2016, ma a me questo interessa relativamente perché non c’è nessun nesso tra quanto emerso e l’ateneo. Quello che voglio dire è che un’istituzione laica come il Centro Studi ha siglato un accordo con un’istituzione fondata da un ordine religioso che, attenzione, direttamente o indirettamente è stato spesso ricollegato al sovranismo internazionale che ha in Steve Bannon il suo mentore. Questo credo sia un aspetto che vada approfondito, non pensa?
“Quello che io ho letto su questa cosa l’ho letto dopo che ci sono state le polemiche. Noi abbiamo fatto l’accordo con l’università, non con i Legionari di Cristo di cui non so niente e continuo a non sapere niente. Secondo lei io non avrei dovuto fare, per esempio, un accordo con Mediaset perché Berlusconi è stato accusato di certe cose? Io mi occupo di sviluppare accordi per il bene della Fondazione, di questo mi occupo. A me non piacciono queste polemiche, la Fondazione è un’ente apartitico, apolitico, io non mi pongo queste domande, anzi, se avessi scelto in base a quello che lei mi sta dicendo, lì avrei fatto una scelta politica che non mi compete! L’UER è un’università in crescita, riconosciuta dal MIUR, all’interno della giurisdizione italiana, quindi non vedo quale sia il problema. Io capisco le polemiche politiche strumentali, ma questa mi colpisce particolarmente perché la trovo veramente inconsistente. Ribadisco, io non ho fatto un accordo con i Legionari per affrontare una didattica di carattere teologico, la Fondazione ha fatto altro e per quello che ci riguarda, per l’obiettivo che ci siamo posti, l’accordo è perfettamente in linea con le nostre idee di sviluppo. Guardi, il CdA è completamente trasversale politicamente e Liliana Grasso quando si siede su questa sedia lascia fuori dalla stanza tutte le idee che legittimamente ha ma che non devono attenere l’attività di presidente della Fondazione”.
D – Tornando a quanto lei ha detto in apertura, non essendo orvietano mi sorprende che molto spesso parlando con persone che in città ci sono nate e ci vivono da sempre, del CSCO non si conosca nulla, anzi, spesso non se ne conosce neanche l’esistenza. Da qui alla scadenza del suo mandato, come pensa di poter intervenire concretamente per colmare questo gap con la città?
“Premesso che il Centro Studi è un luogo di alta formazione, quindi ha nella sua mission delle caratteristiche specifiche che non lo rendono un luogo al centro degli interessi di tutta l’opinione pubblica, noi vogliamo che la Fondazione diventi soprattutto uno spazio aperto, il luogo dell’inclusione. Tutte le volte che un’associazione del territorio ha avuto bisogno di uno spazio di discussione e di relazione, si è potuta rivolgere al Centro Studi. Certo, gli ultimi due anni hanno limitato molto le attività ma noi vogliamo diventare l’hub culturale della città, uno spazio in cui associazioni e cittadini che hanno idee di crescita trovino un luogo fertile dove potersi confrontare”.
D – E’ innegabile che Orvieto e il suo territorio siano in forte crisi, anche d’identità, se vogliamo, stretti tra due regioni ma slegati da entrambi, una crisi che è anche e soprattutto economica e demografica. C’è spazio per un rilancio strutturale, che punti ai prossimi dieci anni magari e non alle prossime elezioni, del quale anche il CSCO possa sentirsi protagonista?
“Le rispondo in parte come presidente del Centro Studi e in parte come Liliana Grasso. Questo territorio ha enormi possibilità di sviluppo ma occorre partire da un principio inderogabile: occorre abbandonare quel campanilismo che ci ha sempre caratterizzato e condividere il pensiero e i progetti. In questa città condividere progetti non è facilissimo, sono due anni che facciamo questo tentativo, a volte con buoni risultati, altre meno. Bisogna capire che occorre perdere un pezzettino del proprio potere per il bene di Orvieto, comprendere che siamo un territorio unico per la bellezza naturalistica, per i suoi borghi medievali, per l’enogastronomia ma…Ma l’80% dell’Italia è così, non abbiamo solo noi questa unicità. Cosa ci distingue? O abbiamo la capacità di innovare il nostro pensare, oppure rimarremo solo la zona stretta tra Umbria e Tuscia, di collegamento tra Roma e Firenze. Io penso che questo si debba fare e si debba fare senza nessun vincolo, perché ogni qual volta facciamo un accordo con qualcuno, si scatenano retropensieri che non hanno attinenza con la realtà: o si rema tutti quanti dalla stessa parte o non ce la facciamo, smettiamola di essere rupecentrici! Questa è l’unica strada di sviluppo, quella dell’innovazione culturale ma dobbiamo avere anche velocità di reazione per cogliere tutte le occasioni, quella capacità che questo territorio ha spesso fatto fatica ad esprimere”.