di Danilo Stefani
A un certo punto della partita sembrava di essere dentro un film con Claudio Bisio del 2013 “Benvenuto Presidente!”. Il protagonista, un ingenuo bibliotecario con l’hobby per la pesca, viene prelevato da un paesino del nord per fare il presidente della Repubblica. Tutto per il mancato accordo tra i leader dei partiti e della goliardia di deputati e senatori che sulla scheda di voto scrivono ‘Giuseppe Garibaldi’ l’eroe del risorgimento, di cui è omonimo.
Lo spettacolo indecoroso di questi giorni dato dal Parlamento con i leader in crisi, e i grandi elettori di conseguenza allo sbando, non può che portare all’ennesimo sconfitta della politica. Uno scenario grottesco e comico, alla Bisio, se non fossimo in emergenza. Una politica incapace, commissariata da tempo – e di cui l’ultima prova è Draghi – si rivolge all’usato sicuro di un Mattarella bis: come lo fece per il presidente Napolitano.
Certo, quattordici anni di presidenza somigliano a una monarchia. Rivolgersi a un Mattarella che ha appena traslocato è un’avvilente sconfitta soprattutto per i leader. Perché dopo aver “bruciato” tutto quel che c’era da bruciare si torna in ginocchio da Mattarella per manifesta incapacità di trovare alternative.
“Sarà un figura di alto profilo”, “domani si chiude”, “una personalità al di sopra delle parti”, “qualcuno che non abbia tessera di partito, un rosa di nomi di garanzia”. Il lessico della politica ha detto tutto per non dire niente. L’impotenza dei leader somiglia a quella dei bambini: hanno bisogno del papà o del nonno. Quindi si va verso il Quirinale per pregare Sergio Mattarella di restare, come fosse un Giuseppe Garibaldi; non per risorgere, ma per continuare a giocare in sicurezza in un recinto dove si possano fare meno danni possibili.