Non solo un elenco più o meno lungo delle cose che non vanno, come fosse un “cahier de doléances” sul sistema sanitario umbro, ma piuttosto un’iniziativa che ha messo nero su bianco le criticità esistenti con l’intento di portare un contributo concreto.
E’ stato questo lo spirito con il quale si è svolto l’incontro dall’emblematico titolo “E’ tempo di una sanità di cittadinanza”, che si è tenuto a Sferracavallo nel pomeriggio del 9 dicembre, organizzato da Franco Raimondo Barbabella (CiviciXOrvieto), Massimo Gnagnarini ( coordinatore Italia Viva orvietano) e Massimo Morcella (Azione). Le premesse al convegno, con una partecipazione consistente che ha stupito anche gli organizzatori, erano tutte nel titolo dell’evento.
Il nuovo Piano Sanitario Regionale che la Giunta Tesei ha varato nelle scorse settimane e che dovrà essere approvato in via definitiva entro il prossimo mese di febbraio, acuisce ancor più quelle che già erano le criticità della sanità umbra, ancorata a logiche centralistiche, spesso campanilistiche, che sembrano tenere in poca considerazione le singole realtà territoriali e la specificità geografica dell’Umbria, terra di mezzo, cerniera tra le tre grandi regioni del centro Italia, Lazio, Toscana e Marche.
Gli interventi, magistralmente moderati da Franco Barbabella, sono stati l’espressione più autentica delle voci dei territori stessi, sindaci, consiglieri comunali, sindacalisti ed anche, con la partecipazione di Stefano Moretti, di chi il dicastero della sanità regionale lo ha guidato negli anni passati. Poco spazio alle diatribe politiche, nonostante la maggior parte dei partecipanti fosse espressione dell’area di centrosinistra.
C’è un’area vasta, diciamo così, che va da Città della Pieve a Terni, una zona periferica che è stata via via spogliata dei suoi servizi sanitari che furono spesso di eccellenza, un territorio con la popolazione più anziana della regione e tra le più anziane d’Italia, una situazione che non nasce certo oggi con il centrodestra a Palazzo Cesaroni, ma che è frutto di anni di quelle logiche centralistiche tipicamente perugine, che il centrosinistra aveva già avviato. In questo contesto dunque, le domande sul futuro degli ospedali di Orvieto, Amelia e Narni, così come quello sui distretti sanitari ridotti a cinque e il venir meno della capillarità della medicina territoriale, una volta punto di forza delle Aree interne umbre, sono soprattutto punti interrogativi su quale futuro potrà avere la sanità pubblica in un contesto troppo spesso marginalizzato.
Dal presidente della Provincia di Terni e sindaco di Guardea, Giampiero Lattanzi, a Gianluigi Maravalle, sindaco di Ficulle, dal sindacalista Ciro Zeno a Federico Novelli, consigliere comunale di Narni, da Marco Sciarrini, presidente di Cittadini Liberi di Terni a Giovanni Fanfano, rappresentante di CiviciXCittà delle Pieve e Trasimeno, si è puntato il dito sul Piano Sanitario Regionale e sulla sua assoluta inadeguatezza a rispondere alla specificità umbra e di questo territorio in particolare.
C’è una questione culturale, come ha fatto notare Andrea Fora, consigliere regionale e presidente di CiviciXl’Umbria, se piuttosto che puntare al benessere dei cittadini si punta unicamente a rendergli un servizio nel momento in cui ne hanno bisogno, un servizio tra l’altro, che spesso la sanità pubblica non riesce ad espletare nei tempi e nei modi che occorrerebbero, lasciando praterie sconfinate all’intervento privato, con tutte le conseguenze che sappiamo sulle tasche dei cittadini e sul depauperamento di professionalità ed eccellenze del pubblico.
L’ospedale di Orvieto potrebbe fungere da cerniera con il territorio del Lazio settentrionale, potrebbe essere un centro nevralgico per gli interventi di urgenza, collocato in un punto strategico quasi a metà strada tra Roma e Firenze sulle grandi vie di comunicazione del Paese. Eppure la realtà del Santa Maria della Stella è tutt’altra, un ospedale che non ha un appeal neanche tra i vincitori di concorso, che manca di alcuni servizi essenziali e soprattutto di personale. Se la Regione ha investito il 47% in più nella provincia di Perugia rispetto a quella ternana, in termini di immobili e macchinari per la sanità, il risultato è quello che vediamo quotidianamente sotto i nostri occhi.
Il centralismo è stato da sempre il male di questa Regione, ora il problema diventa molto più grave con la pandemia ancora in corso, anche se è inutile accampare la scusa che la situazione attuale sia (solo) colpa del Covid. L’area del Trasimeno annessa al distretto sanitario di Città di Castello anziché a quella orvietana, da sempre sua naturale interlocutrice, la barzelletta a cui oramai è ridotta la questione del nuovo ospedale di Narni e Amelia, tra conferme, smentite, smentite delle conferme e conferme delle smentite, l’immobilismo e il progressivo impoverimento di mezzi e personale a cui è condannato l’ospedale di Orvieto, sono conseguenze di direttive che cadono dell’alto senza che si conosca la realtà dei territori in questione.
“L’assessore veneto alla sanità umbra”, come è stato definito Luca Coletto da esponenti della sua stessa maggioranza, non solo conosce poco l’Umbria ma non sembra neanche in grado di dialogare con le realtà territoriali, cosa questa che ha preoccupato tutti gli intervenuti.
Se anche in presenza di fondi, che arriveranno con il PNRR, piuttosto che investire si punta a risparmiare e razionalizzare, il futuro non sembra granché roseo. Razionalizzare cosa, poi? Davvero due ASL in tutta la Regione fanno risparmiare soldi più che se ce ne fosse tre, quattro, cinque? Davvero i distretti sanitari devono essere solo cinque, in un contesto geografico complesso, con le vie di comunicazione spesso inefficienti tra un territorio e un altro? Si punta al cittadino o al conto economico, all’eccellenza del pubblico o a favorire l’iniziativa privata? Domande queste che sono alla base delle scelte strategiche messe in campo.
L’iniziativa promossa da Barbabella, Gnagnarini e Morcella è l’unica possibile, proprio perché priva di accesi e ben delineati contorni politici, un’iniziativa che parte dal basso, dai territori, al di là delle singole appartenenze partitiche. Sarebbe il caso di creare una sorta di forum permanente, un think tank che continui a pungolare, proporre, segnalare, in un momento in cui la proposta politica generale è di scarsissima qualità e non si vedono in giro figure eminenti a destra come a sinistra.
Perché, come ha chiosato Morcella, o quest’area vasta che va da Città della Pieve a Terni, saprà vincere definitivamente ogni campanilismo ed egoismo particolare e proporsi tutta insieme come un aggregato di forze, idee, progetti, oppure una ancor più marcata marginalizzazione sarà l’unico destino possibile. E chi ne uscirà sconfitto sarà il cittadino, privato finanche del servizio pubblico essenziale per eccellenza, quello che riguarda la tutela della salute. (Gabriele Marcheggiani)