di Gabriele Marcheggiani
Sono fermamente convinto che a tutto ci debba essere un limite, se non altro per decenza.
Il 25 novembre, si è celebrata la Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, istituita in ambito ONU nel 1999. In una ricorrenza come questa, soprattutto in un tempo come il presente nel quale la violenza di genere rappresenta una tragica realtà sociale, si sono moltiplicate iniziative di ogni tipo, messaggi e manifestazioni. Sono dell’avviso che durante una giornata di questo tipo, occorra semplicemente fare il più rigoroso silenzio e lasciar parlare chi, in un modo o nell’altro, “affronta” il problema quotidianamente: le donne che subiscono violenza innanzitutto, ma anche le associazioni che se ne occupano, i legali che curano casi specifici, le forze dell’ordine che si trovano quotidianamente di fronte a situazioni drammatiche. Ecco, in una giornata come quella del 25 novembre, sarebbe stato importante che non parlassero proprio tutti. Perchè se il diritto di parola è sacrosanto ogni giorno dell’anno e vale per ogni cittadino, credo che il 25 novembre qualcuno avrebbe fatto meglio a tacere.
Viviamo nell’epoca dell’antipolitica e bisogna stare attenti a quel che si dice (e si scrive) per non essere tacciati di qualunquismo becero. L’antipolitica di cui si parla, che è un dato di fatto, non è un virus sconosciuto trasmesso dai pipistrelli o dai pangolini in un remoto mercato cinese, ma il risultato di decenni di malagestione, immobilismo e autoreferenzialità della classe politica a tutti i livelli. D’altronde se a Palazzo Chigi non siede un politico da quattro anni, un motivo ci sarà pure, no? Ecco, nella ricorrenza del 25 novembre, la politica tutta avrebbe dovuto semplicemente tacere. Ho letto dichiarazioni di un esponente regionale di massimo livello, che avrebbero fatto cadere le braccia anche a sua madre, intrise com’erano di retorica vuota, frasi ad effetto, contenuti scontati, che hanno partorito niente di meno che un “occorre non abbassare la guardia”, che neanche Lapalisse in persona avrebbe mai concepito. Mio figlio fa la terza media ed elabora concetti molto più complessi.
Oppure di una nota europarlamentare che, rigorosamente in sciarpa rossa (fa tanto scenografia), invitava le donne vittime di violenza a denunciare. Denunciare?
Peccato che in Italia ci sia un vuoto normativo in materia semplicemente vergognoso e che spesso le donne che denunciano, vengono lasciate allo sbaraglio proprio dalla mancanza di riferimenti legislativi certi. Spesso le donne che denunciano non fanno altro che peggiorare la loro situazione, se non c’è nessun organo istituzionale in grado di recepire adeguatamente il loro grido di allarme.
Peccato che due giorni fa, la povera ministra Bonetti, mentre a Montecitorio presentava un disegno di legge in materia, abbia esposto il tutto di fronte a otto (dicasi otto!) onorevoli deputati. Otto presenti su seicentotrenta!
Ora, immagino che tutto questo con le cause dell’antipolitica in cui i partiti sciacquano i loro fallimenti epocali, qualcosa ci azzecchi, per dirla alla Di Pietro. Fin quando ad esempio, alle donne che denunciano violenza, non saranno applicate le stesse norme di cui beneficiano i collaboratori di giustizia o coloro che denunciano crimini di mafia, dalla retorica delle ricorrenze non si uscirà.
Un politico, a qualsiasi livello, ha un ruolo e una responsabilità diversa da quella degli altri cittadini e piuttosto che commemorare, il cittadino si aspetta che agisca. Se non si riesce ad approvare, dopo anni che se ne parla, una legge sul fine vita piuttosto che una sull’omofobia, significa che la politica ha fallito sotto ogni punto di vista. Le cose cambiano se c’è un modo per farle cambiare, soprattutto se c’è chi, dovendo farlo per il ruolo che ricopre, sa assumersi la responsabilità che gli compete.
Questo vale ad ogni livello, non solo nella politica nazionale o nelle grandi città. Perchè i partiti sono organizzazioni che hanno ramificazioni fin dentro il più piccolo borgo di provincia e nonostante da qui non possano prendersi decisioni che riguardano l’intero paese, certamente esistono modi e mezzi per “pungolare” i propri referenti in Regione, nelle segreterie dei partiti e nei gruppi parlamentari. I seicentoventidue deputati che l’altro giorno erano assenti in aula appartengono a tutti i gruppi politici, indistintamente. Una ricorrenza particolare come quella del 25 novembre, avrebbe bisogno di meno comparsate, meno comunicati, meno scenografie e meno selfie a uso e consumo della propaganda sui social network e di più concretezza, a tutti i livelli. A tutti i livelli!
Piuttosto che un invito generico rivolto alle donne per denuciare le violenze, la signora europarlamentare avrebbe fatto meglio ad alzare il telefono e insultare come peggio non si poteva i suoi colleghi di partito che a Roma hanno disertato le aule parlamentari, proprio alla vigilia del 25 novembre.
Così si perde di vista il significato vero delle ricorrenze e l’importanza dell’agire, insomma, diviene tutto come le lucine e gli addobbi natalizi, utili solo a creare un’atmosfera che aiuta a convincerci davvero che siamo più buoni. La politica tutta non ha (solo) il diritto di commemorare, ha il dovere morale di agire!