“Nemo propheta in patria”. Verità antica che si ripete a varie latitudini ma, da qualche parte, si connota con maggiore intensità. Perché? Qui ad Orvieto esiste una realtà piccola e laboriosa, una cooperativa sociale, la MIR, nome già di per sé significativo, che applica le parole del Vangelo, coniugando lavoro, dignità, rispetto, inclusione, aprendo le porte a detenuti, donne dei centri antiviolenza, soggetti fragili che cercano un approdo.
Questa realtà l’ho conosciuta da “straniera”, sperimentando da tempi lontani una generosa e calda accoglienza, totalmente scevra da pregiudizi.
Qui, anche i miei studenti hanno trovato un luogo, più di uno, se penso a Mr Tamburino, a cui accedere, a cui chiedere quell’aiuto e quelle risposte che mai hanno tardato.
Se si gira l’Italia, la piccola MIR, questa cooperativa costituita da persone straordinarie, che hanno messo ciò che conta davanti a tutto (“ciò che conta”? Sarebbe interessante una riflessione su questo tema!), è conosciuta come Entità di Eccellenza e il prof. Leonardo Becchetti la annovera tra chi produce lavoro, partendo da un’etica imprescindibile, che tutela la dignità delle persone e dell’ambiente.
E potrei elencare quanti conoscono e stimano Alessandra Taddei e i suoi compagni che, con fatica e gioia, percorrono il cammino dell’integrazione vera, della costruzione di realtà lavorative non assistenziali, con uno sguardo attento al riciclo totale e alla salvaguardia dell’ambiente. Oggi mi domando: “Quali errori sono stati commessi se alcuni ad Orvieto non solo non valorizzano e non appoggiano questo percorso, ma lo oltraggiano e lo boicottano?”.
Si può nutrire malanimo e perseguitare persone così trasparenti, così in buona fede, così profondamente convinte del loro Cammino? Eppure, da tempo, nei confronti della MIR c’è un’opera incomprensibile, continua, sistematica e malevola che vuole decretarne la morte. Che vuole chiudere questo luogo che ha fatto scoprire preziosità a chi si muove su altri mari, più ideologici: troppo progressista per alcuni, troppo cattolica per altri.
Quando si aprono le braccia e non si guarda la provenienza di chi domanda aiuto, si diventa figli di nessuno, perché si esce dai binari tranquillizzanti di una precisa definizione di identità. Di solito si sta di qua o (disgiuntiva) di là. Se si è semplicemente aperti al mondo, si diventa pericolosi e da osteggiare per chi è ottusamente manicheo e non comprende il superiore obiettivo di produrre vera inclusione?
Mi piacerebbe, da cittadina orvietana (importata), da genitore, da insegnante, da nonna, da persona impegnata nel sociale, poter concorrere alla salvezza della MIR. Se lo merita. L’onore l’ha conquistato sul campo. Basta con lotte miopi che scavano fossati ed erigono muri. È tempo di ponti e di porti. È tempo di dimostrare in opere consapevolezza e solidarietà.
Quindi, sostenuta da un gruppo di persone motivate e disponibili anche al volontariato, oso chiedere a chi se ne occupa: al Vescovo? Alla Curia? All’Amministrazione Comunale? Alle Istituzioni. Di aiutare questa realtà preziosa a sopravvivere.