ORVIETO – Poeti, letterati e scrittori hanno decantato le bellezze paesaggistiche e monumentali di Orvieto. La vita campestre della città di tufo tra vigne e oliveti ha fatto le gioie del panismo dannunziano mentre il lato sacro e solenne della città ha solleticato il versante crepuscolare del sommo poeta di Pescara.
Si Gabriele D’Annunzio verseggiatore e prosatore instancabile, maestro di gigantismi edonisti e tardoromantici ha dedicato a Orvieto alcuni versi raccolti sotto il titolo “Le città del silenzio”, dove il poeta da Lucca a Ravenna rilegge in forma poetica decadentista alcune importanti città italiane.
Era il 1903 quando D’Annunzio da forma al monumentale progetto di creare una saga di sette libri di poesie dal titolo “Laudi del cielo, del mare, della terra e degli eroi”, di cui ogni volume prendeva il nome delle Pleiadi greche. Alla fine realizzò solamente tre libri: Maya, Elettra e Alcyone.
Proprio all’interno di “Elettra” c’è “Le città del silenzio”, celebrazione nazionalista di alcuni tra i principali borghi italiani, noti per la loro bellezza e cultura.
Di Orvieto il poeta di Pescara però non si sofferma a descrivere la vita campestre del luogo, come aveva fatto con quella abruzzese degli esordi di “Primo vere” (1879) e “Canto novo” (1882), ma focalizza la sua attenzione sul Duomo e sul giudizio universale.
Orvieto, su i papali bastioni
fondati nel tuo tufo che strapiomba,
sul tuo Pozzo che s’apre come tomba,
sul tuo Forte che ha mozzi i torrioni,
5su le strade ove l’erba assorda i suoni,
su l’orbe case, ovunque par che incomba
la Morte, e che s’attenda oggi la tromba
delle carnali resurrezioni.
Così si apre la lirica di D’Annunzio dedicata alla città della Rupe e fin dai primi versi si evince il lato maggiormente decadentista dell’autore parlando di morte e di resurrezione. Ma D’Annunzio si dice amasse anche la buona tavola e il buon vino, infatti pare sia stato un grande estimatore dell’Orvieto Classico che per la sua bontà venne ribattezzato dallo stesso “il Sole d’Italia”. (Valentino Saccà)