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Home Politica

Anche ad Orvieto si può firmare per il referendum sull’eutanasia legale

Redazione by Redazione
6 Luglio 2021
in Politica, Secondarie, Archivio notizie
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di Paolo Borrello

Anche ad Orvieto, presso il Comune, si può firmare per il referendum sull’eutanasia legale. Si può firmare in entrambe le sedi dell’ufficio anagrafe, in Via Roma 3 e in Piazza della Repubblica, dalle 9 alle 13 dal lunedì al venerdì. Nell’ufficio in Piazza della Repubblica si può firmare anche il sabato.
Infatti da alcuni giorni è iniziata la raccolta delle firme in tutta Italia per consentire la realizzazione del referendum sull’eutanasia legale. La raccolta delle firme proseguirà fino al 30 settembre. E’ necessario firmare perché se il referendum si potrà svolgere e se prevarranno i sì si creeranno le condizioni affinchè anche in Italia l’eutanasia, in alcuni casi, diventi legale.

Sarà comunque necessario approvare una legge che definisca i casi e i modi in base ai quali sarà possibile praticare l’eutanasia. Ma è del tutto evidente che un’ampia vittoria dei sì al referendum rappresenterà una forte spinta affinchè il Parlamento approvi una legge in materia. Anche perché già da alcuni una proposta di legge di iniziativa popolare sull’eutanasia legale è stata presentata in Parlamento ma non è stata nemmeno discussa.
Il quesito referendario consiste nell’abrogazione di una parte dell’articolo 579 del codice penale. L’attuale formulazione è la seguente: “Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui è punito con la reclusione da sei a quindici anni. Non si applicano le aggravanti indicate nell’articolo 61. Si applicano le disposizioni relative all’omicidio se il fatto è commesso:
– contro una persona minore degli anni diciotto;
– contro un persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un’altra infermità – o per l’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti;
contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno”.

Con il quesito referendario si eliminano le parole da “la reclusione” a “si applicano”, indicate in precedenza in grassetto. Si è scelto di effettuare la raccolta di firme, che devono raggiungere il numero di 500.000, anche nel periodo estivo, per consentire l’eventuale effettuazione del referendum entro il termine di questa legislatura, prima cioè dello svolgimento delle elezioni politiche del 2023.
I promotori della raccolta delle firme sono diversi, tra  i quali: l’Associazione Luca Coscioni, l’Arci, la Federazione dei Verdi, Più Europa, il Partito Socialista Italiano, Possibile, i Radicali Italiani, Rete Dem, Sinistra Italiana e Volt. Per evidenziare alcune motivazioni alla base della scelta di firmare per il referendum sull’eutanasia legale mi limito a riportare alcune considerazioni di Laura Santi, una giornalista di 46 anni di Perugia, affetta da sclerosi multipla, contenute nel suo blog www.lavitapossibile.it:

“…Per tentare di convincere anche gli scettici o contrari voglio uscire dalla mia storia personale, e usare tre parole… Clandestinità, perché non si può nasconderlo o far finta di non vedere il problema, centinaia di persone ogni anno non ci pensano neppure, a chiedere l’eutanasia legale. Si attrezzano altrimenti: con quello che il caso, la disperazione, i mezzi artigianali o contatti ‘fortunati’ consentono. Quante volte si sente nel lessico comune il termine ‘medico compiacente’? Come fosse una realtà normale.
E può essere non solo un medico, ma un operatore, un assistente, un familiare (altrettanto disperato, a volte più del malato stesso). La verità nuda è questa, ed è bene capirla una volta per tutte: l’eutanasia in Italia già esiste ed è sempre esistita, e da sempre si pratica. Solo che è clandestina, illegale. Sono disposti, i contrari, a riconoscere questa realtà? Se sì – e mi auguro, sarebbe ipocrisia totale misconoscerla – visto che sono contrari, hanno degli strumenti tecnici da suggerire per impedirla? A parte un ‘occhio divino’ o non so cos’altro? E in ogni caso: andrebbe bene così? Qualsiasi calvario deve essere accettato?
La seconda parola è sofferenza. Sofferenza silenziosa. In mancanza di una legge e con la sola giurisprudenza a disposizione (la cosiddetta sentenza Cappato del 2019, il caso Dj Fabo) i malati oggi si appellano ad essa (i malati che rientrano nei requisiti stabiliti dalla Cassazione, quindi non tutti, poi ci torno). E’ bene sapere – pure io l’ho scoperto da poco, con la formazione per gli attivisti del referendum, e non mi ha fatto piacere – che dal 2019 a oggi di fatto nessuna libertà si è dischiusa, perché la sentenza Cappato non è mai stata presa in considerazione da sanità e territorio, per i malati che ne hanno fatto richiesta.
Il solo, recentissimo caso del tribunale di Ancona per Mario, paziente tetraplegico, è stato una notizia enorme e una svolta giurisprudenziale. Ma solo oggi, dopo ben due anni. I malati continuano a soffrire e senza una legge continueranno, a soffrire: perché i tempi della giustizia italiana sono maledettamente lenti. Passeranno sempre mesi o più spesso anni, prima che un malato riesca a far applicare una sentenza (se gli va bene). E nel frattempo, quanto tempo di sofferenza è passato?
La terza parola è discriminazione. Come accennavo sopra. La verità è che anche volendo uscire dalla clandestinità, anche attraversando mesi o anni di sofferenza, a oggi soltanto i malati che rientrano nella fattispecie prevista dalla sentenza Cappato – vedi Davide Trentini, altro caso di assoluzione sempre per Cappato e Mina Welby – cioè quelli ‘dipendenti da trattamenti di sostegno vitale’ – più o meno quello che una volta si definiva essere attaccati a una macchina – possono sperare di veder riconosciuto il diritto alla morte assistita. E gli altri?  Tutte le persone con patologie o disabilità gravissime – si pensi agli oncologici o alle persone affette da neurodegenerative, ma è solo un esempio, che mi viene più facile perché ci rientro – sono escluse dallo stesso identico diritto…”.

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