ORVIETO – La città di Orvieto si riaffaccia alla vita sociale attraverso la cultura, grazie alla ripartenza del Festival Arte e Fede che giunto alla sua 15A edizione ha aperto questo ciclo 2021, in attesa del Corpus Domini, presentando il romanzo “Tutto chiede salvezza” (Mondadori, vincitore dello Strega Giovani 2020) dello scrittore e poeta romano Daniele Mencarelli.
Lunedì 1 giugno presso il Palazzo dei Congressi, alle 18,30, si è tenuto questo primo appuntamento di un’edizione speciale del Festival, edizione appunto diffusa, come l’ha battezzata il direttore artistico Alessandro Lardani, in quanto verrà spalmata partendo dall’estate e arrivando fino al Santo Natale nei weekend più significativi dal punto di vista delle ricorrenze religiose. La salvezza, tema centrale dell’opera autobiografica di Mencarelli diventa un po’ un invocazione, quasi una preghiera laica in un momento difficile come quello che stiamo vivendo ora con la pandemia del covid-19.
Proprio da qui è partita la lunga chiacchierata tra Alessandro Lardani e Daniele Mencarelli attorno al suo ultimo romanzo e all’opera letteraria e poetica tout court dell’autore romano. I temi toccati sono stati molteplici ma è soprattutto la luce particolare con la quale li ha illuminati e attraversati Mencarelli che resta decisamente pregnante. Durante l’intervista ha raccontato la sua difficile gioventù che si estrinseca attraverso il proprio alter ego letterario sia in quest’ultimo “Tutto chiede salvezza“, che racconta della sua esperienza in un ospedale psichiatrico, e il suo romanzo d’esordio “La casa degli sguardi” (2018), che invece rilegge il suo periodo di operato presso l’ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma.
“Allora Daniele – apre così l’intervista Alessandro Lardani – partiamo dal contesto spazio-temporale di questo tuo ultimo Romanzo autobiografico “Tutto chiede salvezza”. Siamo nel 1994, nell’anno dei mondiali, Tu vivi a pochi Km da Roma e hai appena compiuto 20 anni. Ecco, prima di questa settimana di T.S.O. chi era esattamente Daniele Mencarelli? Che cercava, cosa desiderava e di che male soffriva?”
Mencarelli parla così della sua adolescenza difficile e di come i tre romanzi scritti, il terzo è in pubblicazione per ottobre prossimo, raccontano a ritroso la sua storia ma se accorpati danno un perfetto quadro cronologico del suo percorso di vita. Daniele ha poi ricordato che prima dei 12 anni non amava leggere e i libri erano come dei soprammobili impolverati, solo dopo ha iniziato ad appassionarsi alla cultura e dal suo punto di vista i libri sono oggetti morti sta alla persona dargli la fiamma della passione.
Dalle parole di Mencarelli e dalle letture eseguite dallo stesso e da un lettore, scaturisce uno stile personalissimo, duro, crudo ma anche tenerissimo con un utilizzo del dialetto romanesco in prima persona che, come ha ricordato Lardani, che ha permesso molti critici e studiosi di avvicinarlo a Pier Paolo Pasolini.
Tra gli aneddoti più importanti che ha ricordato Mencarelli bisogna citare il suo percorso di cambiamento fatto durante l’operato al Bambin Gesù di Roma, dove resta fondamentale l’incontro con una suora che gli ha aperto gli occhi. Alla vista di un bambino “speciale”, Daniele ebbe come primo impatto un moto di rifiuto, non volendo accettare che potesse esistere un bambino con un handicap, ma quando ha visto quella suora parlare e giocare con lui come con un altro bambino ha cambiato la visione delle cose.
Mencarelli ha ammesso di non amare le chiese e gli abiti talari perché la sua fede è decisamente laica e suore e preti li vede assolutamente come persone normali e non vuole parlare di una sua conversione al passato ma di una conversione continua che si rinnova di giorno in giorno.
In “Tutto chiede salvezza” oltre al suo alter ego letterario spicca la figura materna, e uno dei passaggi più toccanti dell’opera è proprio quella tenera e straziante “preghiera” laica che invoca il Daniele letterario anche per sua madre.
“Mi piacerebbe dire a mia madre ciò che mi serve veramente, sempre la stessa cosa, da quando ho urlato il primo vagito al mondo. Una parola per dire quello che voglio veramente, questa cosa che mi porto dalla nascita, che mi segue come un’ombra, stesa sempre al mio fianco. Salvezza.
Salvezza per me, per mia madre, per tutti i figli e tutte le madri, e i padri e tutti i fratelli di tutti i tempi passati e futuri“.
“ ‘Salvezza. Per me. Per mia madre all’altro capo del telefono. Per tutti i figli e tutte le madri, E i padri. E tutti i fratelli di tutti i tempi passati e futuri. La mia malattia si chiama salvezza’. Sembra quasi un trattato di mistica cristiana, – ha osservato Lardani – è una riflessione che diventa preghiera, laica e universale, che nasce dal grido di un cuore di figlio, innamorato e ferito dinanzi alla ricerca del senso della vita, di fronte ai dubbi dell’esistenza”.
Oltre al dramma vissuto sulla propria pelle, che si enuncia anche nei tratti dei suoi compagni d’ospedale descritti inquietanti ma teneri, la scrittura di Mencarelli sa anche essere divertente e ironica come ha sottolineato l’autore stesso. Nonostante un vissuto difficile, Daniele Mencarelli ha ammesso di essere una persona sempre pronta a divertirsi e guardare la vita con una certa soavità, grazie soprattutto alla palestra dell’anima del Bambin Gesù, autentica “arena della vita”, come lo stesso Mencarelli lo ha definito. In chiusura il poeta e scrittore romano ha dedicato un proprio componimento sul tema della Resurrezione, preso dalla raccolta “La Croce é una via”, come sentito omaggio a Arte e Fede e alla città di Orvieto, alla vigilia della Festa del Corpus Domini. (Valentino Saccà)
Contributo fotografico a cura di Mauro Baffo