di Dante Freddi
« Abbiamo raggiunto il culmine della banalità. La gita dei quinti a Venezia» , annunciò Giulio Remetti alla classe, dopo essere uscito dal Consiglio d’Istituto che l’aveva deliberato dopo una brevissima discussione.
La notizia era già nell’aria, c’era stata una contesa serrata ma si sapeva che sarebbe andata in quel modo, perché i professori più attivi avevano deciso quella destinazione, tranquilla, classica, relativamente costosa, facilmente governabile, didatticamente giustificabile anche se i ragazzi non fossero neppure entrati a San Marco.
Periodo scelto i primi di maggio. Ci fu qualche protesta di chi voleva andare all’estero, troppo caro, o in Sicilia. Ma alla fine parteciparono quasi tutti gli allievi dei quinti di quell’anno dell’Istituto tecnico per commerciale. Per molti, quasi per tutti, era la prima occasione di stare qualche giorno fuori casa senza i genitori e il profumo della libertà era intenso, gradevole, eccitante.
Non partecipò qualche ragazza, trattenuta dal fidanzato o dal padre geloso.
Partenza alle sei di mattina, per essere a Verona prima di pranzo, visita veloce all’Arena e alla casa di Giulietta, poi destinazione Lido di Jesolo, dove c’era l’albergo.
Quella mattina l’aria era fresca e tersa, ci voleva un maglioncino o una felpa. La classe accompagnata dai professori Santoni e Prudenzi era nel pullman con la classe della Bigotti e di Giannini, la prima accompagnata dal figlio adolescente. Allegria diffusa, qualcuno urlava il nome di qualche altro, il professor Prudenzi contava i suoi ragazzi. Tre autobus e cinque classi, tanta gente, ma l’organizzazione era buona e la guida del preside Ceccani indiscutibile e indiscussa. Una fermata sugli Appennini e poi Verona.
Appuntamento con gli autobus alle 16. Ogni classe si sparse per la città secondo l’organizzazione prevista dagli insegnanti. Chi visitò prima il centro storico e chi l’Arena, tutti puntuali al piazzale del parcheggio dei pullman all’ora stabilita, e via verso Venezia. Qualche ragazzo di era fatto un paio di bicchieri di Amarone.
Giulio Remetti aveva scelto come compagnia Lorella Vespignani, della quinta A, che nella visita era nello stesso gruppo della sua classe, perché gli insegnanti avevano programmato di stare insieme. Già in auto stava seduto nella fila dietro a Lorella e ogni tanto scambiava qualche parola con lei, che conosceva da tempo, si erano trovati a ballare in discoteca, avevano amici in comune, si vedevano a scuola.
Giulio aveva la ragazza da un paio d’anni, Stefania, liceo classico, simpatica e gioviale, bruna, riccia, bel corpo armonioso e bella testa. Di un anno più giovane di lui, matura nei ragionamenti, informata nelle discussioni, piacevole, disponibile nei confronti di tutti, era una ragazza amata da quanti la conoscevano e adorata dai genitori di Giulio, che vedevano in quella ragazza un supporto importante per la vita futura di loro figlio. Lorella e Giulio avevano progetti, pensavano di frequentare l’università a Perugia, lei Veterinaria lui Economia e Commercio, di mettere su uno studio nel loro settore, di diventare professionisti capaci e apprezzati, genitori giusti per un paio di bambini.
Si amavano, facevano l’amore con passione, avevano amici. La loro vita si apriva al futuro serenamente, senza troppi scombussolamenti sentimentali, di cui avevano poca esperienza. Si erano conosciuti, piaciuti e subito corrisposti, senza tribolazioni. Nessun vero amore prima, soltanto qualche simpatia adolescenziale, molto superficiale.
Giulio non cercava nulla da Lorella, se non una persona simpatica con cui trascorrere qualche momento divertente, un po’ come con Marco o Enrico, i compagni più vecchi e vicini.
Lorella viveva in un paese dei dintorni e da anni era fidanzata con un ragazzo conosciuto a scuola, ormai diplomato e da qualche mese militare di leva. Alta, gambe lunghe, struttura robusta ma snella, seno prosperoso, biondi capelli lunghi, viso regolare e pieno, occhi marroni, labbra tornite, rosa naturale, mai coperte da rossetto, poco trucco, scarpe basse per non mettere in imbarazzo il fidanzato e i compagni e le compagne, tutti più bassi. La sua famiglia era gelosissima di quella bellezza, il fidanzato altrettanto e insieme la stringevano in uno spazio soffocante, che non l’ aiutava a trovare un ruolo suo, consapevole di forze e debolezze, e a esercitarsi serenamente nei rapporti con compagni che la insidiavano in ogni occasione, con compagne che la invidiavano, con le pretese di famiglia e fidanzato. Era la prima gita scolastica a cui partecipava dai tempi delle medie, un giorno a Tivoli. La famiglia e il fidanzato avevano provato a mettersi di traverso, ma Lorella era stata risoluta, aveva spiegato che non sarebbe potuta stare sempre sotto la protezione di genitori e del fidanzato Nicola, che erano soltanto quattro giorni con i compagni di scuola, tra l’altro con la sorvegianza dei professori.
La verità è che era curiosa, mai come in quel momento della sua vita, di vivere qualche giorno libera, padrona di se stessa e responsabile dei suoi comportamenti, delle sue reazioni, che non conosceva in una condizione senza controllo famigliare. Si era fidanzata a sedici anni per sfuggire alla reclusione a cui la costringeva la famiglia e si era trovata pressata ancora più da vicino. Lei e il fidanzato dovevano sottostare a regole rigidissime imposte dal padre e in più c’erano anche gli obblighi che imponeva il fidanzamento.
Arrivo al Lido nel tardo pomeriggio, assegnazione delle camere e appuntamento per la cena. La solita cena da gita scolastica, pasta al sugo, pollo arrosto con patate, una fetta di crostata. Il professor Prudenzi propose un salto in discoteca, poco distante, che avrebbe aperto soltanto per la scolaresca. L’adesione fu quasi totale, compresa la Bigotti, suo figlio e il preside. La serata inaspettata e l’allegria resero il clima frizzante e piacevole, sereno, sicuro, come la festa in casa di amici. Giulio e Lorella si trovarono vicini a cena e poi in un divanetto in discoteca e poi a ballare. I due ragazzi parlavano delle loro esperienze con le famiglie e i fidanzati, soddisfatti, aperti a un futuro che speravano di poter costruire felice e sereno.
Mentre Lorella raccontava della gelosia di Nicola e di suo padre, « li capisco» si lasciò sfuggire Giulio mentre le teneva le mani, in un gesto naturale, di comprensione. Subito si accorse che qualcosa non andava e si ritrasse, si alzò dal divanetto, invitò a ballare una sua compagna di classe. Anche Lorella ballò con alcuni suoi compagni e per fortuna non c’erano quasi mai balli lenti, perché ogni volta era un agguato, a cui si accorse di saper sfuggire con agilità e gentilezza. Poi si trovò a ballare una canzone di Battisti con Giulio, che le stava davanti alla fine del Twist e all’inizio di “E penso a te”. Si avvicinarono con naturalezza, Lorella gli porse la mano a invitarlo e si accorse che voleva stare tra le braccia di quel compagno. Giulio era inquieto e non vedeva l’ora che finisse quella canzone, perché la situazione lo turbava e imbarazzava.
Avrebbe voluto stringerla e sentiva che lei non era in posizione di difesa, che si stava abbandonando. « La gita è iniziata bene, bella anche questa serata. Perfino il preside si è gettato nelle danze. È proprio la conclusione di un periodo di vita e l’inizio di un tempo nuovo. Stiamo crescendo, Lorella». Era il massimo che si sentiva di dire senza apparire troppo scemo. Poi una boutade:« Ho portato con me la mia collezione di farfalle e se vuoi vederla te la mostro volentieri. Ho qualche soggetto davvero unico». Mentre gli usciva la battuta si vergognava di averla detta e continuò « Scusa, ma non corteggiare una ragazza bella come te mi sembra un peccato mortale, offensivo per te e per me». « Io non sono appassionata di farfalle, ma se ti fa piacere potrei venire a vederle», rispose Lorella sorridendo mentre i due corpi si avvicinavano sfiorandosi.
La cosa finì lì e la serata si concluse tra battute e risate. Il giorno dopo a Venezia i due ragazzi visitarono la città insieme, in gruppo con le loro classi, ma sempre un po’ defilati, come se si cercassero. La sera, dopo cena, allegria, giochi di gruppo, qualcuno verso la spiaggia a passeggiare. Lorella e Giulio si trovarono fuori dall’albergo, su un dondolo, a chiacchierare della giornata, di fatti, impressioni. « La giornata è stata faticosa, è ora di andare a dormire» suggerì Lorella. « Ma non hai visto la mia collezione di farfalle», disse ridendo Giulio. « Dài, vediamola questa collezione», rispose Lorella prendendolo per mano e alzandosi dal dondolo. Scherzando sulla collezione arrivarono davanti alla camera di Giulio, lui aprì, entrarono. « La mia proposta è talmente banale che vorrei avere davvero la collezione da mostrarti per poterti stupire». « Ah, ma non ce l’hai? E allora che sono venuta a fare» , le disse Lorella baciandolo sulle labbra. Giulio ebbe una scossa, la strinse, la baciò con passione, le esplorò il corpo in qualche secondo, come se avesse fretta, si ritrasse, le chiese scusa. «Andiamo, altrimenti se ne accorgono che manchiamo», rispose Lorella. Trascorsero anche il giorno dopo con i compagni di classe, senza stare troppo vicini per non alimentare chiacchiere, che, si resero conto, sarebbero potute germogliare in quella condizione di gioia tranquilla e di libertà eccitante.
Tornarono a scuola ed esplose un innamoramento travolgente, che si consumò in quell’estate. Poi, tornato Nicola dal militare, la situazione divenne difficile, le solite scuse non bastavano, la preoccupazione di dover decidere affievolì la passione.
Lorella e Giulio si ritrovarono ormai trentenni al matrimonio di comuni amici e durante una passeggiata dopo cena Giulio le chiese se si ricordava di quella collezione di farfalle. «Desideravo vedere la tua collezione e devo confessarti, guardando ormai da lontano, che il tempo trascorso con te è stato bellissimo, intenso, coinvolgente. L’amore per te mi ha riempito e mi ha insegnato ad amare l’innamoramento, la passione, il gioco, la vita. Quel tempo è iniziato con una stupidaggine come la collezione di farfalle ma mi ha insegnato sentimenti che non avevo ancora conosciuto e che ancora oggi mi capita di ricercare e ritrovare, perché non si può amare la vita e rinunciare all’innamoramento. Mi è capitato anche di innamorarmi più volte di Nicola e allora la gioia, la passione e la serenità hanno composto una miscela preziosa di sentimenti che vorrei potere mantenere ogni giorno della mia vita». « Addio, amore mio» .