DI SEGUITO L’AUDIO-LETTURA DELL’ARTICOLO A CURA DI SOPHIA ANGELOZZI:
di Mirabilia Orvieto
A differenza delle austere cattedrali europee, il Duomo di Orvieto si ergeva con l’armonia delle sue forme e la luminosità dei suoi colori non per incutere timore ma per trasmettere tutta la vicinanza e il calore di Dio attraverso le storie della Vergine.
Sono proprio quelle storie, raccontate nei mosaici della facciata e negli affreschi della Tribuna, a rappresentare una splendida drammatizzazione della vita di Maria e del suo Transito celeste che permise, alla chiesa del Medio Evo, di difendere e confermare i dogmi della fede cristiana contro le dottrine eretiche che pullulavano in quel tempo.
Discendenza di Abramo e figlia d’Israele, la madre di Dio è raffigurata nella parete centrale della Tribuna, mentre compie l’ultimo viaggio verso l’eternità ottenuta per i meriti di Cristo. Le scene, ispirate allo scritto apocrifo di Melitone di Sardi, padre apologeta del II secolo, mostrano la Vergine nel letto di morte con un angelo che,
dopo aver radunato miracolosamente gli apostoli dai quattro angoli della terra, li guidò da Maria stringendo una palma tra le mani, simbolo di resurrezione.

Nell’antico racconto, essi si strinsero intorno al letto di lei per confortarla dal timore della morte e per pregare per la sua anima affinché, al momento del distacco dal corpo, nessun “spirito tetro” potesse tenerla prigioniera delle tenebre e delle pene dell’inferno. Reso l’ultimo respiro apparvero degli angeli e con loro Gesù in tutta la sua gloria che venendole incontro accolse, nelle sembianze di una bambina, la sua anima pura e innocente, e abbracciandola disse: “Vieni, preziosissima perla, vieni tranquilla! Ti aspetta la schiera celeste per introdurti nel gaudio del paradiso”.
Gli apostoli, ancora inginocchiati, videro che quest’anima aveva una tale luce che superava il “candore della neve” in quanto fu giudicata degna di unirsi al Figlio prediletto. Poi “posero quel corpo santo sulla lettiga” e il suo profumo saliva “così soave che era impossibile trovarne uno uguale”. Allora l’apostolo Giovanni prese la palma e “si mise davanti al corpo di Maria” perché fu lui a posare il capo sul petto del Signore nell’Ultima cena. Durante la processione verso il sepolcro accadde un miracolo: sopra la lettiga portata dagli apostoli si manifestò una grande nube in cui “c’era un esercito di angeli dal quale partiva un cantico soave”, tutto ciò a formare una liturgia celeste che si univa a quella degli apostoli che avanzavano intonando salmi.

Ma all’improvviso si avvicina il principe dei sacerdoti ebrei, pieno di furore e d’ira, che “voleva rovesciare la lettiga e buttare a terra il corpo” esclamando: “Ecco il tabernacolo di colui che ha messo scompiglio tra di noi e in tutta la nostra stirpe!”. In quello stesso istante le sue mani rimasero attaccate alla lettiga, mentre “si contorceva dal dolore”. Allora Pietro mettendo le mani sul suo capo lo invitò a professare la fede
nella Trinità, “in Dio e nel Figlio di Dio, Gesù Cristo, che costei ha partorito”, e il sacerdote ebreo obbedendo guarì subito, riacquistando la salute del corpo e dell’anima. Così gli apostoli giunsero nel luogo indicato dal Signore che si trovava nella valle Giosafat e, dopo aver posto il corpo di Maria in una tomba nuova, chiusero il sepolcro. Improvvisamente riapparve Gesù “con una grande moltitudine di angeli” e Pietro con tutti gli apostoli si rivolse a lui con queste parole: “Se dunque con la potenza della tua grazia fosse possibile, a noi tuoi servi parrebbe giusto che come tu, superata la morte, regni nella gloria, così risuscitassi il corpino di tua madre e la conducessi lieta in cielo”. Per intercessione degli apostoli, la pietra rotolò via e la beata Maria uscì risorta dalla tomba, mentre il Signore prendendola tra le braccia disse: “Sorgi, amica mia e mia intima! Tu che non ha conosciuto uomo, non passerai attraverso la corruzione del corpo nel sepolcro”. Così davanti a Pietro e a tutti gli apostoli giunse a compimento il Transito celeste della Madre di Dio, la quale elevandosi in cielo sotto i
loro occhi benedisse il Signore: “Ti ringrazio per gli immensi benefici che tu ti sei degnato di concedere a me tua ancella”. Infine gli apostoli ritornarono ognuno alla loro predicazione “narrando la grandezza di Dio e lodando il Signore nostro Gesù Cristo, che vive e regna con il Padre e lo Spirito santo per tutti i secoli dei secoli. Amen”.

Il beato epilogo invitava a raccomandarsi alla Vergine santa Maria e ad abbandonarsi con fiducia nelle sue tenere braccia. Dall’alto della sua gloria, Ella sicuramente continuava ad intercedere per tutti credenti accompagnandoli e confortandoli nel loro cammino terreno. Il duomo di Orvieto proclamava così la sua splendida catechesi tutta medioevale sul corpo, sull’anima, sul destino dell’uomo e sul mistero di Dio, uno e trino.
A concludere il messaggio mariano è infine la scena dell’incoronazione, una vera e propria icona della Trinità: il Padre, simboleggiato dal triangolo della vela, il Figlio e lo Spirito Santo, rappresentato dalla corte degli angeli che avvolgono la figura della Madre, immagine della chiesa, e quella del Figlio. Maria, infatti, con la sua
resurrezione entrò a far parte della Trinità celeste e con tutta la sua umanità, corpo e anima, dall’alto dei cieli trasmette ancora ad ogni creatura la speranza di trovarsi un giorno accanto a Cristo nella gloria di Dio Padre. Contrariamente ai dogmi professati dagli eretici che ritenevano l’umanità indegna per natura di avvicinarsi a Dio, la cattedrale annunciava invece la bontà di ogni creatura che, pur viziata dalla colpa e dall’inganno del serpente, fu riscattata dalla grazia di Cristo ed è per questo che entrerà anch’essa, come Maria, a far parte in corpo e anima della divina Trinità:
Gloria e lode,
salute, onore, potenza e benedizione
al Padre e al Figlio:
pari lode sia allo Spirito Santo,
che procede da entrambi.
Amen.
(Pange Lingua, san Tommaso 1264)

*(Foto: Opera del Duomo)








