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Home Cultura

I Dodici

Redazione by Redazione
31 Maggio 2021
in Cultura, Archivio notizie
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di Mirabilia Orvieto

DI SEGUITO L’AUDIO-LETTURA DELL’ARTICOLO A CURA DI SOPHIA ANGELOZZI:

https://orvietosi.it/wp-content/uploads/2021/05/Il-ritorno-dei-dodici-Audio-2.mp3

 

Una ‘guardia d’onore’ accoglie chi entra in duomo. È la sfilata delle sculture dei quattro Santi protettori della città e dei dodici Apostoli, una marcia trionfale che si snoda in successione lungo il colonnato della navata centrale aprendo la strada verso l’altare. Il fedele viene accompagnato fino alle soglie del mistero del Verbo incarnato, mistero invisibile ed ineffabile ma reso presente dall’annunciazione di Francesco Mochi, con l’arcangelo Gabriele e la vergine Maria che sul presbiterio concludono la sequenza delle statue.
L’intero progetto scultoreo, che risale al 1554 e che venne realizzato in circa due secoli, si sviluppò sulla scia di quel rinnovamento della Chiesa “nel capo e nella membra” scaturito della Controriforma e di cui fu protagonista la Compagnia di Gesù, fondata nel 1548 da sant’Ignazio di Loyola. Il grande vigore con cui i Gesuiti contrastarono – come dei ‘nuovi apostoli’ – la diffusione del protestantesimo in Europa è impresso scenograficamente nei volti di Giovanni, Tommaso e Filippo che con il testo sacro appoggiato sul fianco, sul ginocchio, o stretto sotto il braccio come fosse la cosa più cara, sono lì a rappresentare con grande intensità espressiva tutto lo spirito di un cristianesimo fondato sullo studio e sulla forza della vita spirituale.

Giovanni Caccini, San Giacomo Maggiore, 1589-91)

La croce, il coltello, la sega, il bastone e l’alabarda che accompagnano le figure dei dodici sono il simbolo del loro martirio, mentre la verga del pellegrino, la squadra dell’architetto, la penna con il vasetto dell’inchiostro, l’aquila e l’angelo stanno ad indicare in quale modo essi adempirono alla missione di annunciare il Vangelo sino ai confini della terra.

Durante la recita del Credo o Simbolo della fede, la comunità dei fedeli poteva quindi unirsi idealmente e spiritualmente alla comunità degli apostoli che risposero con coraggio e speranza alla chiamata di Cristo, divenendo gli autorevoli testimoni della sua risurrezione: Pietro, Paolo, Andrea, Giacomo Maggiore, Giovanni, Tommaso, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Giacomo Minore, Taddeo e Simone, rievocano il momento in cui il Figlio di Dio li prese dal mondo per inviarli a tutti gli uomini che essi nutrirono con il pane eucaristico, illuminarono con la sapienza del vangelo e battezzarono infondendo nei cuori l’amore di Dio.

Raffaello da Montelupo, San Pietro, particolare, post 1557

Con lo sguardo rivolto verso l’assemblea, l’apostolo Paolo sembra ripetere le parole pronunciate ai primi cristiani, e che cioè ogni chiesa dovrà edificarsi sopra il fondamento degli apostoli la cui pietra angolare è “lo stesso Cristo Gesù” (Ef 2, 20). Sarà proprio la vita dei fedeli a costruire quel tempio spirituale annunciato nella lettera agli Ebrei: “tu non hai voluto né sacrificio, né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Allora ho detto: Ecco, io vengo per fare, o Dio, la tua volontà” (Eb 10,5-7). Furono proprio questi venerabili uomini a testimoniare che con l’immortalità dell’anima era giusto sperare anche nella resurrezione della carne, mistero questo che pervade tutta la cattedrale: dal corpo di Cristo venerato nella cappella del Corporale, al corpo dell’umanità risorta dalla terra nella cappella Nova, dal corpo di Maria assunta in cielo sulle pareti della facciata e della tribuna, fino al corpo degli apostoli che si ergono a custodi delle verità della fede cristiana, il duomo di Orvieto celebra tutto il valore del corpo che in Cristo – cantava il filosofo Tertulliano – diventa “cardine di salvezza”.

Francesco Moschino, San Paolo, 1556

Pietro e Paolo, dunque, il Governo e il Magistero della parola di Dio, l’uno di fronte all’altro perché era Roma la vera chiesa, il vero ‘corpo di Cristo’. Gli apostoli che la fondarono si scrivevano lettere di comunione dai quattro angoli della terra e s’inviavano scambievolmente il pane eucaristico dell’unica cena del Signore, per questo erano un solo corpo e un solo spirito.
Nel duomo i fedeli rappresentano perciò il presente di quel passato, ma anche del futuro in una mirabile ricapitolazione di tutta la storia della salvezza che si concluderà quando la liturgia celeste prenderà il posto di quella terrena, passando per la vita del mondo; quel giorno tutta l’umanità redenta si riunirà in anima e corpo alla vita dei profeti, di Maria, di Cristo, degli apostoli e di tutti i santi del Paradiso, in un beato epilogo annunciato al mondo dal volto raggiante di Gesù al centro del rosone.

Francesco Mochi, San Taddeo, 1631-44)

Credits: (foto di Massimo Roncella e Opera del Duomo di Orvieto).

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