L’Ecomuseo del Paesaggio Orvietano (EPO), in occasione dell’Earth Day (Giornata Mondiale della Terra), ha predisposto la CARTA DEL PEGLIA, un manifesto/appello per la tutela e la salvaguardia del territorio agricolo, a fronte delle aggressioni e minacce che incombono per le iniziative imprenditoriali inerenti la produzione di energia da grandi impianti fotovoltaici.
La CARTA sarà trasmessa alla Rete nazionale degli Ecomusei con cui sono state già avviate intese, proponendone la sottoscrizione virtuale presso il casale di Settefrati sul Monte Peglia.
La CARTA nasce dalla forte contrarietà manifestata da parte di Aziende agricole e agrituristiche, Associazioni, Comitati e Cittadini rispetto al progetto di un mega impianto fotovoltaico di circa 40 ettari, momentaneamente bloccato dalla Regione Umbria, sulle pendici orvietane del Peglia.
L’EPO non si contrappone alla produzione di energia da fonti rinnovabili, ma ritiene che ciò debba avvenire nel rispetto dei valori paesaggistici e ambientali dei territori, alla luce anche di soluzioni alternative costituite da ampie zone compromesse presenti in modo diffuso nel nostro Paese.
Segue la CARTA
Il Monte Peglia costituisce il perno fondamentale del Sistema Territoriale di Interesse Naturalistico Ambientale (STINA) esteso su oltre 45.000 ettari nell’Alto Orvietano. Nei mesi scorsi è stato presentato un progetto imprenditoriale sui terreni di un’azienda agricola per realizzare un mega parco fotovoltaico di 40 ettari proprio sulle pendici del Peglia che scendono verso Orvieto, con pesanti interferenze sui beni paesaggistici, naturalistici e culturali. Aziende agricole e agrituristiche, Associazioni, Comitati e Cittadini hanno sollevato una vibrante protesta che ha contribuito, almeno temporaneamente, a fermare il progetto, evidenziando la inadeguatezza della normativa a livello nazionale, regionale e comunale per impedire lo scempio dei territori.
L’EPO ha pertanto predisposto la CARTA DEL PEGLIA, quale manifesto/appello degli Ecomusei per la tutela del paesaggio e la salvaguardia del territorio agricolo, da diffondere in occasione della Giornata mondiale della Terra (Earth Day).
“Bloccate gli impianti fotovoltaici a terra” – proposta dall’Ecomuseo del Paesaggio Orvietano
Manifesto/appello degli Ecomusei per la tutela del paesaggio e la salvaguardia del territorio agricolo.
La compromissione di suolo agricolo e naturale operata dalla realizzazione di grandi estensioni di pannelli fotovoltaici a terra sta avanzando in modo preoccupante, favorita dalla spinta nazionale ed europea per le produzioni da fonti energetiche alternative.
Questo consumo di suolo, mascherato da “progresso tecnologico” va fermato per più di una motivazione.
La prima. Il modello di produzione energetica centralizzata richiede grandi investimenti per la costruzione e manutenzione delle reti di distribuzione, che comportano notevoli dispersioni e induce un forte potere di controllo sulla sicurezza e la continuità di approvvigionamento energetico delle utenze da parte di pochi produttori. Occorre invece favorire un modello produttivo decentrato (microgenerazione distribuita), ovvero piccoli impianti di produzione da fonti rinnovabili dislocati in prossimità dei poli di consumo, implementando le tecnologie distributive per la creazione di smart grids.
La seconda. I grandi impianti fotovoltaici a terra producono un forte impatto visivo sul paesaggio, soprattutto laddove siano posizionati su versanti collinari e montani e in generale su quei territori ricompresi nei coni visuali traguardati da insediamenti di valore storico e culturale, da paesaggi ancora integri e caratterizzati dalla partitura fondiaria storica, dalle colture tradizionali e di grande valore percettivo.
Paesaggi quasi mai tutelati, soprattutto se costellati dai c.d. “beni minori” quali i casolari, le pievi, i fontanili, spesso sfuggiti ad un riconoscimento dei patrimoni storico-culturali e che sono uno dei maggiori elementi di interesse degli Ecomusei.
La terza. Evitare nuovo consumo di suolo libero. Anche se il fotovoltaico a terra è una “destinazione a tempo” il periodo almeno ventennale di posizionamento e gli interventi complementari di infrastrutturazione (nuove strade, reti elettriche, recinzioni etc.) producono alterazioni irreversibili del suolo. E’ stata infatti rilevata da alcuni studi una compromissione del suolo e delle biocenosi ad opera dei pannelli posizionati a terra, con ulteriori riflessi negativi in particolare per le interferenze con le reti ecologiche e le componenti faunistiche.
E’ inoltre evidente che esistano milioni di ettari di territorio già compromesso e residuale che possono essere utilizzati a tale scopo (dalle aree di pertinenza di depuratori, di impianti di recupero rifiuti e trattamento acque reflue, aree di cava attive e dismesse, stabilimenti di allevamenti zootecnici intensivi e di trasformazione dei prodotti agricoli, così come la moltitudine di aree di risulta tra infrastrutture stradali e ferroviarie).
La quarta. Una compromissione permanente del mosaico ambientale. Il posizionamento degli impianti a terra non tiene conto della frammentazione del mosaico ambientale prodotta che costituisce una alterazione strutturale dei sistemi (produttivo e protettivo in primo luogo, come studiati dall’Ecologia del paesaggio). A questa si associa una alterazione della morfologia dei suoli, specialmente per quelli situati in pendenza, e una interruzione dei corridoi ecologici, con particolare riferimento a quelli minori caratterizzati dalla presenza di siepi e filari alberati.
Per tutte queste motivazioni la rete degli Ecomusei prende posizione contro i grandi impianti di pannelli fotovoltaici che compromettono in maniera irreversibile il territorio agricolo, il paesaggio agrario e gli ambienti naturali, considerati un valore irrinunciabile e un patrimonio delle nostre comunità.