ORVIETO – Angelo Rossi, detto Angelino, non è stato semplicemente un poeta ma una figura atipica per la realtà sociale orvietana, figlio di una famiglia povera di Terni andò a Orvieto da ragazzo quando la madre lo affidò alla sorella benestante che viveva nella città della Rupe. Angelo crebbe quindi a Orvieto frequentando il liceo, vestendo da Zanchi (il sarto più in voga al suo tempo), faceva quindi una vita agiata e degnamente borghese. Venuta a mancare la zia, suo zio iniziò ad ridurgli la rendita e così in questa fase della sua vita Angelo cominciò ad abbracciare un modus vivendi decisamente bohemien. Era la fine degli anni ’60 e l’Italia stava vivendo un periodo di rivoluzione culturale e sociale e anche a Orvieto questo spirito si riverberava in gruppi di giovani progressisti. Angelino iniziò a frequentare, anche se in maniera molto personale, uno di questi gruppi di giovani progressisti orvietani di cui faceva parte anche Carlo Carpinelli.
Sempre in questo periodo Rossi inizia a scrivere le sue poesie bazzicando le osterie della città, ma anche se il suo modus vivendi non si confaceva alla mondanità orvietana era comunque visto come un personaggio particolare e con un certo appeal, come ricorda Carpinelli. “Arrivò un giorno da Caracas un amico e gli dette alcuni soldi per stampare le sue poesie che furono poi editate con il titolo “I Sigoni”, su consiglio del letterato Moretti, e stampate le copie dalla vendita delle stesse Angelino riuscì a guadagnare un po’ di soldi”, ricorda Carpinelli.
La vita movimentata di Rossi lo portò poi a Roma dove iniziò a respirare l’aria culturale della capitale. Ospite dell’amico Giampaolo Brozzi, Angelino conobbe il compositore Fabio Carpi che gli propose di musicare alcune poesie e sempre in quel periodo recitava poesie nelle fabbriche occupate insieme al grande attore Gian Maria Volontè. “Ricordo che una volta andai a vederlo recitare insieme a Volontè – dice Carpinelli – e ammetto che nonostante si fosse inserito in un contesto culturalmente stimolante, Angelino non aveva l’attitudine al lavoro e a una scrittura sistematica per cui non riuscì mai ad emergere veramente”. “In quegli anni Piazza Navona – ricorda sempre Carlo Carpinelli – era un luogo anticonformista e punto di ritrovo dei vari artisti di strada e Angelino stava sempre li. Un giorno si mise di mezzo quando le forze dell’ordine stavano per arrestare un mangiafuoco così portarono dentro anche lui anche se per poco. Una sera andai a trovarlo in osteria e lui raccontò le sue traversie in carcere in cella con il tigre, malavitoso romano. Era un personaggio veramente anticonformista, si vantava ad esempio di essere tra i pochi ad aver lasciato un debito ai casini prima che chiudessero con la legge Merlin”.
“Quando venne a mancare suo zio Tebaldo – ha aggiunto Carpinelli – Angelo ereditò un patrimonio che nel giro di pochi anni dilapidò interamente. In questa sua parentesi non l’ho più frequentato perché aveva cambiato approccio alla vita. Tempo dopo prese alloggio, fino agli ultimi giorni della sua vita, pagando con i soldi riscossi da un’assicurazione per via di un incidente stradale. Da li tornò a frequentare gli amici di prima e il ristoratore Franco Tittocchia che gli garantiva un pasto al giorno a patto che poteva insultarlo per ricordargli quanto era stato sciocco a dilapidare una fortuna. Da quel momento abbiamo ricominciato a frequentarlo”.
“E’ morto praticamente da solo – ha poi concluso Carpinelli – ricevendo un ricordo molto modesto da parte della città stessa, perché per gli abitanti del centro storico era un personaggio poco consono alle dinamiche sociali, e ha avuto un feeling solo con il gruppo di amici nostri. Angelino pur non avendo creato un vero momento di rottura, ha rappresentato in questa città un momento di diversità, di alternativa di pensiero e di vita. Angelino resta un personaggio articolato, complesso e sfaccettato, che io ricordo con affetto”.
Nel 2009 l’iniziativa orvietana “Venti ascensionali” gli dedicò un ricordo con l’evento “Il nostro amico Angelino”- reading poetico/musicale dedicato ad Angelo Rossi e Piero Ciampi”. (Valentino Saccà)