di Gabriele Marcheggiani
Le immagini che ci vengono propinate puntualmente ogni fine settimana da un anno in qua, sono la rappresentazione plastica di come esistano due Italie, una di serie A e un’altra di serie B. Da una parte c’è un paese che appare muoversi da privilegiato in barba a tutte le norme anti-Covid, con file chilometriche verso le stazioni montane, assembramenti sparsi qua e là nelle grandi città, lungo i litorali e le località turistiche, dall’altra invece c’è un’Italia minore, fatta di piccoli borghi, paesi di poche anime, comuni lontani dalle grandi vie di comunicazione, per lo più situati nell’entroterra dove tutto appare fermo come nel più duro dei lockdown. Paesi vuoti e attività chiuse da una parte, gite fuori porta e pranzi al ristorante, dall’altra.
Se è vero che il virus picchia duro ovunque e non fa sconti nelle aree interne, è altrettanto vero che le disposizioni in vigore non sono uguali per tutti, basta guardare un servizio al telegiornale la domenica sera e confrontarlo con quanto avviene nelle piccole comunità di cui la gran parte del territorio orvietano è composto. E non è questione di colorazioni diverse, perché a parità di rischio si segnalano assembramenti finanche a Perugia che è a tutti gli effetti zona rossa.
Sembra quasi che il rispetto ferreo delle regole di distanziamento sociale sia in obbligo solo a chi, già da trent’anni ormai, lo vive quotidianamente a causa non del Covid, ma dello spopolamento progressivo dei territori. Nei discorsi del nuovo presidente del consiglio Mario Draghi, chiamato come un novello Cincinnato a risollevare le sorti della patria, non c’è stata traccia dei problemi ultra-decennali di intere aree del paese che sono tagliate fuori da tutto o quasi e delle quali ci si ricorda solo quando si risveglia una faglia tettonica.
Eppure c’è un’economia che soffre anche e più proprio nei piccoli borghi, dove una piccola attività commerciale o artigianale può rappresentare l’unica possibilità di resistenza e di sopravvivenza. Che ne sarà dei piccoli borghi, delle aree interne dopo il Covid se il bar o il piccolo alloggio turistico dovessero chiudere per sempre? Fuori dalle priorità della politica nazionale e con grandi colpe anche di quella locale, i piccoli paesi cercano di resistere alla buriana della pandemia ma continuano ad essere trattati come figli di un dio minore.
Stride troppo e fa quasi rabbia vedere le serrande abbassate delle trattorie, delle taverne, degli agriturismi solo nelle periferie geografiche dello Stivale mentre altrove, almeno nei fine settimana, la vita sembra continuare come se nulla fosse. L’Umbria sta pagando un prezzo salatissimo alla pandemia essendo una delle regioni che dallo scorso novembre è pressoché rimasta sempre colorata di arancione e ancor più che Perugia, Assisi, Gubbio, Spoleto e la stessa Orvieto, il prezzo più alto lo stanno pagando le piccole comunità.
Quelle piccole comunità – il termine non è affatto casuale – che resistono al liquefarsi delle strutture della società che Bauman aveva preconizzato, con un sistema di auto-organizzazione e mutua assistenza che è insito nell’Italia dei piccoli borghi. Non è manicheismo di maniera, la gente che abita i piccoli paesi non è necessariamente migliore di quella di città ma ha dalla sua un senso di appartenenza che è insieme antidoto e vaccino contro la soggettivizzazione imperante che se ne frega delle regole del bene comune.
È una virtù questa che vale come oro se ci fosse qualcuno, tra quelli che decidono, in grado di comprenderlo in pieno ed è quindi una virtù vilipesa visto che non c’è nessuno che lo capisca. Che differenza c’è tra il lungomare di Napoli affollatissimo e quasi senza controlli e Parrano? Tra Campo Felice – dove con una furbata si è praticamente consentita la riapertura degli impianti sciistici – e Castelgiorgio? È veramente così alto il rischio di contagiarsi camminando sui sentieri dei monti Amerini rispetto a quanto potrebbe avvenire a Villa Borghese? Con un eccesso di ottimismo forse, il poeta e paesologo Franco Arminio disse che passata la pandemia l’Italia sarebbe rinata dai piccoli borghi di provincia, da Castelluccio di Norcia più che da Milano. Parafrasando lo storico Tito Livio invece, il paese più autentico, quello lontano anche dai clamori della cronaca, continua ad essere espugnato ogni giorno e a Roma neanche se ne discute.