di Gabriele Marcheggiani
MONTECCHIO – Entrare nel piccolo laboratorio di cestai nel centro storico di Montecchio, è come varcare un’invisibile porta del tempo. Andreina e David accolgono chiunque bussi alla loro porta – un paesano, un pellegrino del Cammino dei Borghi Silenti, un curioso – catapultandolo indietro di secoli, facendolo partecipe dei piccoli segreti della loro arte. Cesti ovunque e di ogni dimensione, creazioni originali e uniche, frutto di una sapienza manuale oramai pressoché scomparsa, di una capacità rara di vivere in simbiosi con il territorio e quel che dona.
“In questo David è intransigente”, esordisce Andreina, “tutto ciò che occorre per creare i nostri cesti proviene da questa terra, non c’è nulla di artificioso”. Raccontano la loro storia e quella della loro arte, seduti ciascuno sul proprio banco di lavoro all’interno del piccolo laboratorio delle meraviglie: David è intento a terminare la base di un cesto intessendo i fili di un salice, mentre Andreina è indaffarata con la cucitura e l’incastonamento di perle. Dietro ogni cesto c’è un gesto d’amore, un tentativo riuscito di tramandare una tradizione antichissima mentre la manualità quasi prodigiosa dei due artigiani montecchiesi si fonde con il silenzio del borgo, con il crepitare del fuoco nei camini, con l’odore acre ma intenso del fumo che scappa dai comignoli.
C’è un prima e un dopo nelle vite dei due cestai, sferzati dal dolore ma non spezzati, perchè come i listelli che intrecciano, hanno avuto la capacità e forse la fortuna di flettersi entrambi alle intemperie della vita senza rompersi. Anzi, proprio su questa capacità non scontata hanno trovato la forza per costruire il loro amore, una storia anch’essa incredibile quasi come una fiaba. “Nei nostri cesti c’è un po’ di noi, di quel che viviamo ogni giorno da quando ci siamo incontrati dodici anni fa”, dice Andreina, nata e vissuta a Montefiascone fino a quando non ha incontrato David. Da Montecchio la sagoma della cupola del duomo di Montefiascone è inconfondibile, soprattutto all’alba e negli istanti che precedono il tramonto: i due paesi si osservano a distanza dalla notte dei tempi, di qua i monti Amerini, di là le colline della Tuscia.
“Anche questa è una cosa curiosa, sembra quasi che ci fossimo sempre guardati, anche dalla mia casa in un momento preciso della giornata si riesce a vedere Montecchio”, dice Andreina. Il maestro cestaio è David che le ha trasmesso la sua passione . “Erano quarantacinque anni che non li facevo più, avevo perso la manualità e all’inizio non è stato facile ricominciare”, dice David, ora tutto preso da una fascina fresca di taglio dalla quale poi ricaverà i fili, i listelli, la materia prima del suo lavoro. Maneggia con cura ogni singolo rametto, taglia, seleziona, divide senza lasciare nulla al caso.
“La mia famiglia abitava a San Pietro, sotto Montecchio ed eravamo numerosi, ognuno si occupava di qualcosa, mio padre ad esempio curava i campi mentre uno zio si occupava degli animali e delle stalle. L’arte dell’intreccio l’ho appresa lì, a quei tempi i cesti non erano oggetti ornamentali come oggi, erano necessari per il lavoro nei campi, per cogliere l’uva e le olive e quanto pesavano…”, sorride ricordando i giorni della sua infanzia. Lui, che di Montecchio è stato anche sindaco, non lascerebbe questa terra neanche per tutto l’oro del mondo. “L’ho capito appena conosciuto”, interviene Andreina, “con questa terra David ha un rapporto strettissimo, conosce tutto, dal sottosuolo ai sassi di cui è fatto il paese, è innamorato di Montecchio e della sua gente nel vero senso della parola. Quando la nostra storia ha preso questa strada, ho capito che mi sarei dovuta spostare io e a conti fatti ho fatto benissimo”, conclude.
La loro fama ormai quasi li precede, sono conosciuti in tutta Italia avendo partecipato a decine di rassegne, di fiere, di mercati un po’ ovunque; a maggio prossimo si sarebbe dovuto tenere un incontro dei cestai italiani proprio a Montecchio ma probabilmente occorrerà rimandare tutto al prossimo anno, la pandemia non perdona. Si starebbe le ore a sentir raccontare le loro storie, ogni cesto, ogni piccola creazione ne ha una propria, ciascun listello di carpino, di salice, di ulivo, di vitabbia, di sanguinello, di vite, sembra abbia vita propria, tanto che i due cestai ne conoscono persino la provenienza. “Abbiamo tanti figli da curare”, sorride Andreina, “quando ci chiamano per tagliare e potare sappiamo già tutto di ogni albero, di ogni tralcio, proprio come fossero figli nostri”. Figli docili e colorati che prendono vita dalla sapienza antica delle loro mani, un po’ come il ciocco di ciliegio da cui Geppetto tirò fuori Pinocchio. Io ve l’avevo detto che questa storia era un po’ una fiaba!