di Mirabilia Orvieto
Il nostro Paese dispone di un patrimonio storico, artistico e culturale inestimabile. Di contro, nelle sua valorizzazione prevale una visione statica e conservativa che cristallizza non solo il ‘bene’ ma anche le possibilità di dialogo tra soggetti privati e istituzioni il cui ruolo rimane cruciale per reperire risorse e sperimentare progetti veramente innovativi. Il turismo in Italia si basa sulla capacità di motivare la domanda turistica puntando proprio sull’ineguagliabile patrimonio culturale ecclesiastico (circa il 70% dell’intero patrimonio nazionale) che però deve essere adeguatamente valorizzato per contenuti e modalità di comunicazione: “Sono convinto – affermava mons. Carlo Mazza, direttore dell’Ufficio Nazionale CEI per la Pastorale del tempo libero, turismo e sport, al convegno nazionale promosso dalla CEI il 22/10/2001 a Roma – che per trovare o offrire risposte significative alla questione del flusso turistico nelle chiese, sia inadeguato e riduttivo l’impegno solitario di qualcuno. Occorre mettersi insieme, realizzare insieme un progetto, oltre l’ambizione della solitudine ecclesiale. Siamo difronte a un evidente e vistoso ‘segno dei tempi’ che ci interpella, ci inquieta e ci incalza. Se avremo un po’ di coraggio in più e un po’ di fantasia in più, troveremo anche le corrette modalità per superare le soggiacenti difficoltà e avviarci verso una piena valorizzazione dei nostri beni culturali”.
Una città va dunque promossa non solo offrendo servizi ma elaborando idee capaci di creare delle modalità moderne ed efficaci di fruizione dei suoi beni attrattivi. Troppi operatori sono convinti di vendere solo pacchetti o servizi turistici e non si accorgono che in realtà stanno vendendo inconsciamente un ‘territorio’, all’interno del
quale ci sono servizi e beni che costituiscono un ‘unico prodotto’ da realizzarsi guardando alle motivazioni e alla personalità dei fruitori. Anche se la responsabilità di rendere quel territorio sempre più accogliente e motivante in tutti i suoi aspetti compete agli organismi pubblici (Regione, Comune, Diocesi, Fabbricerie, Fondazioni, ecc.), spetta proprio agli ‘operatori turistici e culturali’ il compito di attrarre i visitatori rispondendo ai loro bisogni che alla fine sono di carattere culturale e spirituale nell’accezione più ampia.
I turisti che vengono a visitare Orvieto non lo fanno solo per mangiare e dormire in una splendida città, ma viaggiano per fare esperienze significative che non possono vivere in casa propria: non basta la bellezza di una città, serve la capacità di fare di questa bellezza un ‘fattore’ di attrattività e quindi di sviluppo economico e sociale, a partire dai beni culturali ecclesiastici che sono intrinsecamente legati al loro significato simbolico-esistenziale e non solo al valore estetico.
Purtroppo non ci sono grandi esempi di iniziative impegnate su questo versante: la stessa attività di ‘valorizzazione’ dei beni culturali a carattere religioso è ancora attuata in maniera episodica e con scarse sinergie.
Eppure dovrebbe esistere una ‘comunanza di interessi’ per rendere più produttivo tale patrimonio di bellezza, sia a livello locale che nazionale, attraverso una sorta di accordo o ‘patto’ fra Fede, Cultura e
Turismo che, nonostante la diversità di missioni e ruoli, riesca a imprimere ad ogni città d’arte un nuovo e decisivo impulso. In questo tempo di crisi ma anche di profonda trasformazione diventa sempre più necessaria una ‘collaborazione’ fra Istituzioni e Imprese culturali creative che sappiano lavorare ad un marketing turisticoterritoriale innovativo, elaborando progetti per la valorizzazione che sappiano andare al di là dello storytelling mediatico con cui si è soliti promuovere il Made in Italy.
Nel Patrimonio artistico italiano – dichiara la Costituzione – è condensata la ‘biografia spirituale’ di una nazione per cui ‘adottare’ un monumento o una città significa adottare la propria identità nazionale che però deve essere rivolta verso il futuro e non verso il passato, e di conseguenza aperta e inclusiva.
Chi adotta monumenti sa leggere tutto questo, sa capire lo spessore e la profondità del passato e per questo sa riscoprirne tutta l’attualità mettendo insieme memoria e creatività: “Quando entriamo in una chiesa – sottolinea lo storico dell’arte Tomaso Montanari – camminiamo letteralmente sui corpi dei nostri progenitori, sepolti sotto i pavimenti, ne condividiamo le speranze e i timori guardando con occhi nuovi le opere d’arte che loro stessi commissionarono e realizzarono, e ne prendiamo il posto come membri attuali di una vita civile che si svolge negli spazi che hanno voluto e creato per loro stessi e per noi”. Mettersi così di fronte al Duomo di Orvieto è allora come mettersi di fronte a un volto che ci somiglia, che bisogna saper vedere e riconoscere, ricordando che – come disse Carlo Levi – se amore guarda, gli occhi vedono