di Claudio Lattanzi
Ancora una volta la Banca d’Italia ha confermato il dato record dei depositi bancari detenuti dai risparmiatori orvietani. La media pro capite è di 26 mila e 173 euro contro un valore regionale che si ferma a 14 mila e 285 euro. I numeri, elaborati dall’agenzia Mediacom043 del bravo giornalista economico Giuseppe Castellini, dimostrano come, su un totale di depositi bancari umbri pari a 12 miliardi e 429 milioni di euro, ben 532 milioni si trovino in banche orvietane ed appartengano, verosimilmente, a cittadini orvietani. Come a dire che il 2,2 % degli umbri (ventimila orvietani) detiene il 3,7 per cento della ricchezza finanziaria di 882 mila persone (tutti gli umbri).
Una proporzione che sembra fotografare la floridezza invidiabile di un territorio abitato da persone molto benestanti ed è effettivamente così, almeno in parte, ma le prospettive di una comunità sono un concetto molto più sfaccettato del solo parametro dei depositi bancari. Soprattutto se quella comunità ha una popolazione per quasi il 28 % composta da over 65 enni ed una rarefazione preoccupante delle classi anagrafiche in età da lavoro. E’ il paradosso evidente di una città sempre più vecchia, senza opportunità per i giovani e imbambolata in un torpore accumulativo che nega ogni speranza di futuro. Una comunità di benestanti che continua a percorrere la strada del declino e a negarsi ogni scenario di crescita intesa come creazione di nuovi posti di lavoro e incremento demografico.
Chi ha analizzato questa situazione come ha fatto nei suoi scritti Paolo Borrello, ha fornito alcune chiavi di lettura sia dell’accumulazione della ricchezza che della sua mancata trasformazione in capitale di rischio. Borrello individua nel pendolarismo su Roma e nella nutrita presenza di pensionati due delle leve principali per spiegare la quota di redditi che si trasforma in risparmio e fa riferimento ad una tradizionale scarsa propensione all’investimento di questa zona. Ma perché qui si investe poco o nulla?
Il compianto Marcello Materazzo, persona molto portata nel comprendere le dinamiche sociali, aveva la sua convincente teoria sull’assenza della borghesia legata al fatto che la grande ricchezza dei parassitari proprietari terrieri si era progressivamente trasformata in rendita, soprattutto attraverso la speculazione prima fondiaria e poi immobiliare. Dovendo commentare le spiegazioni di Borrello sugli scarsi investimenti, introdurrei anche l’altra anomalia orvietana rappresentata dal valore molto alto del mercato immobiliare. Sarà ora di fare qualche riflessione su questo tema e pensare anche alla leva urbanistica?
I costi elevati delle abitazioni scoraggiano ovviamente la crescita demografica, ma drenano anche quantità importanti di reddito verso il pagamento dei mutui, sottraendoli a possibili investimenti. Il quadro si completa con i tre grandi fallimenti che hanno collezionato le classi dirigenti locali dagli anni Novanta ad oggi: il mancato rilancio della ex Piave che avrebbe dovuto perlomeno ospitare qualche centinaio di dipendenti pubblici, con o senza stellette, il flop delle politiche di marketing territoriale con il buco nell’acqua, concettuale prima ancora che contabile, del Consorzio Crescendo e l’incapacità di mettere in piedi una politica di relazioni con Roma, intesa sia come attrazione dei flussi turistici e decentramento universitario, ma anche come capacità di proporre soluzioni residenziali per i romani.
Ora è arrivato il momento di riprendere il filo e ricominciare a pensare ai prossimi anni. Certo avere il governo peggiore nel periodo peggiore del dopoguerra non aiuta, ma è necessaria una mobilitazione dal basso che non può essere delegata solo ai rappresentanti delle istituzioni. Bisogna svegliarsi tutti e capire se ci interessa cominciare a crescere o avviarci invece verso una serena vecchiaia nell’ospizio di lusso che Orvieto sta diventando ogni mese di più. E’ necessario mobilitare ogni energia per ottenere il massimo dei fondi pubblici che (forse) arriveranno, ma è importante anche trasformare finalmente questa zona in un habitat favorevole alle imprese perché non si può ancora sperare che innovatori intraprendenti come Luca Tomassini e pochi altri continuino a investire qui solo per amor di patria o per l’aria buona.
Stiamo entrando in anno difficile, ma abbiamo anche delle opportunità e non solo la prospettiva emergenziale. La probabile trasformazione della Cassa di risparmio in una banca pubblica può essere considerato un elemento di stabilità, ma ora ci servono idee, coraggio, creatività e voglia di fare. Alcuni piccoli Comuni stanno proponendo incentivi per attrarre nuovi residenti in epoca di lavoro a distanza. Perché non pensare alla realtà di Roma non solo a fini turistici, ma anche per offrire a migliaia di persone la prospettiva di venire a vivere qui, coniugando quella che sarà una delle tendenze generalizzate del prossimo futuro con una visione di una Orvieto che decida finalmente di rimettersi in marcia e accettare qualche sfida?