La mattina del 7 marzo una telefonata interruppe bruscamente l’ordinaria giornata lavorativa di Damiano Bernardini, sindaco di Baschi: già frastornati dall’incalzare delle notizie sul virus che aveva fatto la sua comparsa in Italia due settimane prima, quel giorno la cronaca fece irruzione nei nostri borghi tranquilli.
Dall’altro capo del telefono una dirigente dell’ASL di Orvieto comunicava al sindaco la positività al tampone COVID di un suo concittadino, una saetta fragorosa si scagliava contro l’ordinaria amministrazione di un piccolo comune dell’orvietano. Damiano Bernardini, che di professione lavora presso uno studio commercialista, è stato uno dei primissimi amministratori della provincia di Terni a sperimentare la drammaticità di una telefonata del genere, uno spartiacque tra due mondi che attualmente sembrano distanti anni luce.
Nella vita del sindaco oramai c’è un prima e un dopo quegli squilli del telefono, tanto che a distanza di mesi egli ricorda nitidamente ogni frammento di quella giornata di quasi primavera. Nel lungo colloquio che abbiamo avuto pochi giorni fa, le parole che Bernardini ha pronunciato più spesso sono state incredulità, adrenalina, energia e solitudine.
Quest’ultima parola, soprattutto, è quella intorno alla quale si svolge la vita di chiunque abbia un qualche tipo di responsabilità pubblica, dal capo del Governo al sindaco dell’ultimo paesino della penisola. Tanti sindaci in seguito hanno sperimentato sulla loro pelle quella sensazione di claustrofobia che la solitudine porta con sé e che la carica di adrenalina certamente presente in corpo non riesce a dissipare.
Immagino somigli a un peso enorme che grava sul petto e sullo stomaco, una sensazione anche fisica che ti accompagna di giorno mentre sei indaffarato ma soprattutto non ti lascia solo neanche un istante durante la notte. “Le dinamiche burocratiche che un fenomeno del genere reca con sé sono enormi ma rispetto a tutto ciò si resta comunque soli a dover gestire nel concreto un’emergenza di cui nessuno ancora immaginava l’esatta portata”. Le sue parole vengono pronunciate con estrema chiarezza, Bernardini non è tipo da non lasciarsi ben intendere dal suo interlocutore. Una volta che la notizia è uscita sui quotidiani on line della zona, il tam tam dei social network la diffonde in pochi minuti nelle strade del capoluogo e fin nel più nascosto vicolo delle tante frazioni di Baschi: il telefono del sindaco inizia a squillare incessantemente, chiunque si sente in dovere di chiamarlo per sapere il nome della persona contagiata, avere rassicurazioni, capire cosa succederà ora.
Sono ore frenetiche in cui, al di là di tutto, un giovane sindaco di provincia, eletto da poco meno di un anno, si trova a dover gestire un’emergenza di portata planetaria di cui la telefonata della mattina si immagina sia solo l’inizio. Non è retorica facile, non credo che qualcuno fosse veramente preparato a gestire la pandemia in corso, non lo erano eminenti scienziati che ancora oggi nei salotti televisivi fanno a gara a smentirsi a vicenda, non lo erano quei politici che nel corso degli ultimi trent’anni hanno smantellato pezzo a pezzo la sanità pubblica, non lo poteva essere di certo un sindaco di un piccolo comune.
La solitudine del potere rimanda a personaggi mitici descritti da Garcia Marquez, tutti sono accomunati dall’ineluttabilità del proprio ruolo e delle decisioni che devono essere prese; il sindaco è il primo pezzo di Stato che un cittadino incontra, è quello a lui più prossimo, quello con il quale può interloquire facilmente: tutti i sindaci sono stati e sono la prima linea istituzionale, quelli che, soprattutto nei piccoli comuni, hanno dovuto svolgere il lavoro duro e difficile di interfacciarsi con cittadini preoccupati, prendendo decisioni talvolta impopolari per la salvaguardia della salute pubblica.
C’è un frammento di quella giornata drammatica che il sindaco di Baschi ricorda bene. “Subito dopo cena, visto che il telefono non smetteva di squillare, ho preferito uscire di casa per lasciare tranquilla la mia famiglia e mi sono incamminato verso il municipio. Mi sono fermato due minuti al bar a prendere un caffè e a rispondere a qualche domanda degli avventori, sapevano che stavo andando nel mio ufficio in comune e che lì avrei probabilmente fatto notte fonda. Il titolare del bar non mi ha fatto pagare, un gesto apparentemente di pura cortesia, normale in altri momenti ma quella sera ha assunto un significato enorme per me. Mi sono sentito caricato ancor di più di un’energia che avrei detto inaspettata per svolgere ancor meglio il mio lavoro”.
Chiuso fino a tardi nel suo ufficio, Damiano Bernardini ha preso il telefono ed ha richiamato uno ad uno tutti i cittadini che l’avevano cercato durante la giornata, ha rassicurato ciascuno di loro, si è fatto amico e fratello di persone che potevano avere ben più del doppio dei suoi anni, in molti avranno compreso, magari qualcuno non sarà rimasto pienamente soddisfatto delle risposte avute. “Ho cercato di essere me stesso in quei momenti, di risposte da dare ne avevo veramente poche quella sera e quelle che davo erano più che altro frutto dei miei sentimenti, di più non avrei potuto e saputo fare”. Un primo cittadino, appunto.