VITERBO – Una giornata interamente dedicata ai rifugi antropocenici con interventi e dibattiti per fare il punto sul destino delle aree montane italiane. Questo l’argomento del webinar “Conservation of anthropocene refugia in mountain areas” organizzato dal dottorato in Ecologia e Gestione Sostenibile delle Risorse Ambientali dell’Università della Tuscia nell’ambito del progetto Fisr-Miur Italian Mountain Lab (vedi https://www.unimontagna.it/unimont-media/conservation-of-anthropocene-refugia-in-mountain-landscapes/ ) in collaborazione con diversi Atenei italiani, i carabinieri forestali e il parco Nazionale dell’Aspromonte. Alla giornata hanno partecipato 18 specialisti nella biologia ed ecologia della conservazione, 35 dottorandi, 3 assegnisti di ricerca e 11 studenti di magistrale.
La conoscenza sempre più dettagliata del ruolo essenziale svolto dalle aree di rifugio per garantire la sopravvivenza delle specie durante le fasi di sconvolgimento climatico dell’epoca Quaternaria è oggi accompagnata dalla consapevolezza che i cambiamenti climatici e di uso del suolo attuali avvengono ad una velocità che niente ha a che vedere con quella delle passate ere glaciali. Così, l’azione sinergica dei cambiamenti climatici con altre forme di pressione antropica sugli ecosistemi, spesso lascia la biodiversità inerme, incapace di rifugiarsi abbastanza velocemente in quelle zone dove ancora potrebbe sopravvivere. Da qui la necessità di ripensare il concetto di rifugio in chiave antropocenica: un’area dove specie a rischio potranno sopravvivere nonostante i cambiamenti globali indotti dall’uomo e che potrà fungere da serbatoio di biodiversità per il futuro.
In questo contesto le aree montane rivestono un ruolo insostituibile nella conservazione di specie e habitat minacciati dai cambiamenti sia climatici sia d’uso del suolo, pur essendo allo stesso tempo ecosistemi estremamente fragili proprio nei confronti di questi due impatti. Specialisti nella biologia ed ecologia della conservazione, Carabinieri forestali, dottorandi e assegnisti di ricerca hanno affrontato questo apparente corto circuito, proponendo alcune possibili soluzioni centrate sulla necessità di una governance dell’ambiente che valuti “dove” e “come” proteggere. I progressi compiuti dalla scienza negli ultimi anni permettono oggi di individuare quegli ambiti territoriali da proteggere per garantire tanto la sopravvivenza di popolazioni chiave per specie minacciate quanto l’integrità e funzionalità degli ecosistemi.
Le foreste del Parco Nazionale dell’Aspromonte rappresentano in questo senso un esempio particolarmente significativo. Sebbene sin dall’antichità il territorio sia stato sfruttato, la presenza al suo interno di rifugi antropocenici ha permesso la persistenza di foreste vetuste di latifoglie con alberi tra i più antichi del pianeta, nonché la sopravvivenza di popolazioni ricche e vitali di alcune specie altrove gravemente minacciate, come ad esempio l’ululone appenninico e l’osmoderma italico. Ma come proteggere e valorizzare questi piccoli “paradisi sicuri”? Dando ai processi naturali spazio per esprimersi: da un lato ribadendo il ruolo insostituibile di una strategia di protezione centrata sulle Riserve Integrali; dall’altro favorendo processi di “rewilding”, che sfruttano la biodiversità dei rifugi antropocenici per ripristinare il valore naturalistico di aree precedentemente impattate e recuperare così la piena funzionalità ecosistemica degli habitat. Anche in questo caso la foresta demaniale dell’Alto Aspromonte rappresenta un interessante modello di gestione, che ha portato alla candidatura della Faggeta Vetusta di Valle Infernale a Patrimonio Mondiale dell’UNESCO.
La condivisione e divulgazione dell’importanza che i rifugi antropocenici hanno per la biodiversità e l’equilibrio delle aree montane è stata indicata come un ulteriore, e non meno importante, passaggio per la loro conservazione e per la costruzione di un nuovo sistema di valorizzazione della natura e dei processi di sviluppo sostenibile.
E’ possibile rivedere il webinar al seguente link: