di Franco Raimondo Barbabella
Non possiamo più tacere. I tempi che viviamo si fanno sempre più complessi e difficili. E così siamo giunti al punto che bisogna tutti fare la nostra parte più di quanto non abbiamo già fatto perché si eviti la malattia mortale, quella di ritrovarci, alla fine della pandemia (una fine ci sarà), una società distrutta, disgregata, in preda a pulsioni irrazionali e impossibile da governare con i metodi della democrazia. Allora incominciamo col dire delle verità, certo le nostre, ma almeno meditate.
La verità è relativa, ma va sempre cercata ed espressa con onestà. Soprattutto, c’è una regola ineludibile per la politica, in particolare per chi ha responsabilità istituzionali: fare discorsi di verità. Non è solo un principio dell’etica del dovere, è anche un esercizio di responsabilità per non essere clamorosamente smentiti dalla realtà.
Tentiamo dunque di mettere a fuoco alcuni aspetti della situazione creata dalla seconda ondata della pandemia da Covid-19. Sapendo bene tuttavia che ogni punto di analisi e di ipotesi di soluzione è provvisorio. Questo è appunto il metodo dei discorsi di verità.
Confronto tra prima e seconda ondata
La prima era imprevista, la seconda no. Nella prima non è vero che tutto ha funzionato a meraviglia, ma alla fine ce la siamo comunque cavata senza danni irrimediabili per il tessuto economico e per la speranza di futuro. Nella seconda ondata non sta affatto andando meglio, come invece avevamo il diritto di aspettarci. Ci si è illusi di averla sfangata, come da nostre inveterate abitudini. E così si è giunti all’appuntamento paradossalmente più impreparati che nella prima, pur sapendo che sarebbe inevitabilmente arrivata. Nascondere questa verità non si può e non si deve.
Ora bisogna fare ciò che non si è fatto prima
Oggi la situazione è più grave di quella di marzo: se non si argina la diffusione del virus presto, non solo si passerà dalla serrata parziale attuale ad una nuova serrata totale, ma si rischia che nemmeno questa sia efficace. Il punto cruciale è che le serrate sono solo un acquisto di tempo che si paga a caro prezzo. Se poi questo tempo non si usa bene, si prepara solo un danno maggiore. Per questo, se si chiedono sacrifici, bisogna che si sappia a che cosa servono, che lo si spieghi bene ai cittadini e che poi si agisca di conseguenza avendo il coraggio di affrontare i problemi non risolti, anche e soprattutto senza preoccuparsi della propria popolarità. Bisogna fare ciò che non si è fatto prima. Affrontare quattro problemi soprattutto: l’organizzazione della risposta sanitaria; le situazioni di sovraffollamento irrazionale (in primo luogo i trasporti); i comportamenti irresponsabili; il coordinamento istituzionale.
L’organizzazione della risposta sanitaria
Dalla prima alla seconda ondata pandemica si è perso un tempo prezioso per fare quello che studi, proposte tecniche e buon senso dettavano già da maggio. Inutile fare l’elenco, è tutto già troppo noto. Non è un problema di soldi. Si sa che in cassa ci sono ben 100 miliardi non spesi. Poi ci sono i 37 miliardi della linea PCS del MES. Ma il punto è che, oltre ai veti incrociati sul MES (si dice MES volendo ignorare che è la linea PCS del MES, senza condizionalità e a tasso zero), non si ha un progetto di riorganizzazione con programmi specifici mirati. Insomma, non si è in grado di programmare e di spendere. Paradossale?
No, la disorganizzazione è uno dei nostri mali più noti, che ritornano sempre avendo una base solida in un’arretratezza culturale generale e in particolare di abitudini e strumenti politici. Sul latte versato inutile piangere, lo sappiamo, ma solo se si fa del tutto per non versarne altro. Ora dunque basta correre dietro al virus, e basta far finta che va tutto bene. Il diritto alla salute è il primo diritto di cittadinanza. Se chi esercita il potere non lo garantisce è per forza di realtà irrimediabilmente delegittimato. Le proteste lo fanno capire.
Le situazioni di sovraffollamento irrazionale
Il comportamento tenuto dalle autorità di fronte al tema del distanziamento e della protezione personale e sociale è sconcertante. Si è lasciato che in estate ognuno facesse quello che gli pare per salvare l’economia turistica e commerciale e non si è pensato che in questo modo si stavano ponendo le premesse per dare a questi settori una botta in autunno e in inverno.
Non si è fatto quasi nulla da maggio a settembre per potenziare i trasporti e differenziare gli orari in vista della ripresa della scuola e delle attività produttive, cosa suggerita a più riprese ai diversi soggetti in diverse sedi. Poi però a ottobre si decide di frustrare tutto lo sforzo compiuto in estate dalla scuola e si torna alla didattica a distanza (oggi DDi, didattica a distanza integrata, nome diverso per la stessa cosa) in diverse regioni, compresa l’Umbria. Insomma, si sa che il problema è fuori dalla scuola e però si chiude la scuola.
In Europa si chiudono interi settori di attività ma si tiene aperta la scuola; in Italia, non sapendo risolvere i problemi dove sono, si sterza sul bersaglio sbagliato ma facile, utile a dare l’impressione che così si risolve. In atri termini, come detto, si corre dietro al virus, non essendo in grado di intervenire sulle cause dell’espansione rapida del contagio.
I comportamenti irresponsabili
I comportamenti superficiali non si contano, quelli irresponsabili nemmeno. Ne abbiamo avuto sentore già nella prima ondata. Non si tratta solo dei negazionisti, ma di una massa di persone, giovani e adulti, gente di tutti i ceti, anche leader politici, dediti ad affermare il proprio ego contro ogni evidenza e a coltivare un individuale menefreghismo anche in spregio del buonsenso. Un fenomeno serio, di portata sociale, che dovrebbe far riflettere. Però non pare sia questo né il momento né l’interesse.
Dunque non possiamo negare che le colpe sono in mezzo a noi. Dove collochiamo però l’irresponsabilità dei diversi livelli di governo che non hanno adottato e ancora non adottano i provvedimenti necessari ad ostacolare o impedire gli assembramenti o, meglio, a facilitare l’esercizio del principio di responsabilità da parte dei molti cittadini responsabili? Nei luoghi, nei settori e nelle situazioni giuste, però! Come si è detto, si tratta della differenziazione degli orari della scuola e delle città con connessa organizzazione del trasporto, e inoltre dell’organizzazione della sanità (ad es. per evitare le file) e del potenziamento dei controlli per far rispettare le regole a chi proprio non vuol capire. Il tema è delicato, ma il culto della popolarità al prezzo di costi sociali molto elevati è inaccettabile.
Il coordinamento istituzionale
La crisi istituzionale era già evidente per tante ragioni, tra cui gli attacchi sconsiderati culminati nel taglio dei parlamentari per puri interessi di consenso demagogico e per tenere in piedi il governo. E anche dello scollamento istituzionale si era avuto già chiaro sentore, ma la pandemia ha fatto esplodere il problema con forza e pericolosità. Così oggi abbiamo un governo centrale debole e governi regionali e locali scoordinati, con ambizioni di potere che poi però non riescono ad esercitare.
La conseguenza è che abbiamo un paese in mano, più che ad un sistema articolato di governo, a tanti piccoli potentati sotto pressione da parte di un mondo fluttuante di organizzazioni lobbistiche. Sembra che si debba dare per scontato che il mondo deve essere governato non in base a idee e strategie fondate su visioni strategiche, interessi complessivi, ma in base a interessi particolari, che più minuti sono e meglio è, una follia. Questa situazione genera una grave crisi di credibilità e incentiva non solo la protesta legittima, ma proprio l’idea che ci sia uno spazio per la rivolta. Qui dunque oggi bisogna concentrare l’attenzione. Se non si riuscirà a trovare rapidamente il modo di coordinare le responsabilità di governo, tutto il resto diventerà inutile.
Dove si va dunque?
È quasi certo ormai che si andrà ad ulteriori strette. Le decisioni di alcuni presidenti di regione lo indicano chiaramente. Esse dicono che le classi dirigenti sentono il fallimento delle politiche generali e locali e pensano che il rimedio sia ancora rinviare le scelte vere. Le serrate, inutile negarlo, sono infatti la sconfitta della politica, l’evidenza dei fallimenti di tutti i tentativi fatti per non arrivarci. Possiamo evitare in questa fase di cercare le responsabilità, ma queste ci sono, diffuse e molto, e non da distribuire alla cieca.
Vedremo a suo tempo. Ora dobbiamo fare del tutto per uscirne limitando il più possibile i danni. Che non sono solo economici, ma culturali, sociali e psicologici. Anzi, attenzione, perché se riduciamo tutto all’economia immediata perderemo l’economia strutturale, quella che deve fare i conti con la cultura, le competenze, e la tenuta del tessuto sociale. Ed è su questo intreccio che si formano e mantengono le classi dirigenti.
Dunque, in questa fase è particolarmente importante non sbagliare bersagli e fare in modo da non rendere inutile anche le serrate, piccole o grandi che siano, nel momento stesso in cui le si dovesse decidere. Perché, quando lo si deciderà, si dovrà avere già chiaro sia a che cosa serve il tempo che si compra a così caro prezzo, sia come comunicarlo ai cittadini perché lo accettino e collaborino. In caso contrario tornerà a bomba il tema della responsabilità, dello scollamento e delle rivolte. E avremo già varcato la soglia del non ritorno.