ORVIETO – Alberto Lattuada indiscusso maestro del cinema italiano, ha da sempre contrassegnato il suo stile filmico da un certo eclettismo, troppo spesso scambiato per mancanza di stile.
Il cineasta in realtà sapeva passare con estrema disinvoltura dal canone neorealista, Senza pietà (1948), ai classici della letteratura sovietica, La steppa (1962), fino alla commedia all’italiana di cui citiamo almeno: Don Giovanni in Sicilia (1967) e Venga a prendere il caffè da noi (1970).
Uno stile raffinato, preciso e dal tocco invisibile quello di Alberto Lattuada, nato a Vaprio d’Adda ma con un forte legame con la città di Orvieto.
Il cineasta negli anni 70 acquistò casa a Orvieto, un podere in campagna dalle parti della località La Cacciata, dove iniziò ad appassionarsi all’agricoltura e piantò il primo vitigno.
Orvieto per Lattuada era luogo di riflessione e raccoglimento per poter scrivere e pensare al suo lavoro, lontano dal frastuono da una grande città come Roma presso la quale lavorava nel mondo del cinema.
“Alcune volte – racconta il figlio Alessandro il quale da circa trent’anni lavora nel settore vinicolo – venivano sceneggiatori da Roma per incontrasi a Orvieto con Alberto, come nel 1985 per la lavorazione dello spettacolare Cristoforo Colombo televisivo”.
Alberto Lattuada di Orvieto, oltre alle bellezze naturalistiche, monumentali e architettoniche, apprezzava il suo ritmo e le sue distanze, una città a misura d’uomo. La sua arte cinematografica fondeva un’enorme passione a un certo rigore tecnico e oggi parecchio del suo materiale d’archivio è conservato alla Cineteca di Bologna, fondazione gestita da Gianluca Farinelli.
In occasione del suo centenario (1914-2014) Orvieto ha dedicato una retrospettiva al grande maestro e una mostra fotografica alla Fondazione Cassa di Risparmio, grazie anche al supporto della Cantina Cardèto e la consulenza di Guido Barlozzetti, Alessandra Cannistrà e Serafino Murri, oltre che del figlio Alessandro Lattuada.
(Valentino Saccà)
Un’etichetta speciale da Cardèto per il centenario di Alberto Lattuada