Terza parte – (Prima parte, Seconda parte)
Addentrarsi dentro le meraviglie di un ciclo pittorico è molto di più che fare della storia dell’arte, citando nomi, date e scuole di artisti, o lasciarsi sedurre dalla moda della tecnologia dove si parla di una ‘realtà aumentata’ in immagini ed effetti speciali, senza tener conto dei contenuti e significati dell’opera. Valorizzare l’arte significa rivivere un ‘mondo’, entrando nelle inquietudini e nelle speranze degli uomini che lo abitarono e lo animarono.
L’attrattività di un tesoro d’arte, come il Duomo di Orvieto, va perciò ricercata non solo nella bellezza artistica, ma soprattutto nel suo significato spirituale che riesce a far riemergere la ‘storia degli effetti’, e cioè la catena di tutte le interpretazioni, le suggestioni e i simboli legati a quel bene che altro non è che una risposta al mistero di Dio e del destino dell’uomo.
Un esempio è l’originalissima vela sull’allegoria dell’Apocalisse che rappresenta una delle chiavi di lettura più importanti della Cappella del Corporale (1357). Qui si trova l’immagine di un cavaliere che monta impavido un bianco destriero, simbolo di forza e di purezza, particolare questo dove Ugolino di Prete Ilario sintetizza tutta l’essenza e lo spirito del Medioevo. Il condottiero-monaco si lascia alle spalle le seduzioni del mondo e dando prova di dominare le passioni, travolgendo simbolicamente il corpo di una giovane donna, avanza senza macchia né paura verso la ricerca di Dio.
Capitaneria templare a Orvieto
La figura rievoca l’Ordine dei Templari la cui presenza ad Orvieto – ci racconta lo studioso Sandro Bassetti – si protrasse per circa due secoli, tra il 1135 e il 1312, lasciando sul territorio opere tangibili ancor oggi. Anche se l’immaginario collettivo continua a identificarli con leggende e riti esoterici, i Templari si distinsero non solo per le celebri imprese in Terra Santa e nella lotta contro le eresie, ma anche per le loro capacità amministrative ed economiche che fecero della città di Orvieto il terzo centro templare più importante dopo Firenze e Roma. Il mito ci tramanda che questi nobili cavalieri, dalla tunica bianca e devoti a Maria, non combattevano per la gloria e il potere ma per proteggere i pellegrini cristiani in viaggio verso la Terra Santa.
La fama dell’Ordine risiedeva però nel cosiddetto ‘tesoro’ dei Templari che secondo la tradizione comprendeva il Santo Graal, ritrovato a Gerusalemme sul Monte del Tempio. Ma cos’era il Graal? Nella leggenda si narra dell’esistenza di una coppa che Cristo utilizzò nell’Ultima Cena e nella quale Giuseppe d’Arimatea raccolse il sangue del Redentore versato sulla croce. La reliquia più bramata dal cristianesimo esoterico aveva, infatti, poteri sovrannaturali in grado di guarire e proteggere, donando persino l’immortalità.
In una versione della leggenda si racconta del cavaliere Parsifal che assiste ad un misterioso rito dove appare non una coppa ma un piatto d’argento, custodito in una Cappella, con sopra un’ostia dai poteri miracolosi di cui si nutre il re Pescatore, immagine di Cristo. L’ostia era infatti in grado di lenire la malattia del re colpito da una ferita dolorosa e profonda che mai guariva: “Quest’ostia sostiene e conforta la vita del re, tanto essa è santa, e nulla lo fa vivere se non l’ostia del Graal” (manoscritto Perceval di Chretien de Troyez, sec. XIII). Come Parsifal e i cavalieri della Tavola rotonda, l’epico condottiero dell’Apocalisse , ritratto nella Cappella del Corporale, si lancia con esemplare e nobile virtù, armato della spada della fede, alla ricerca del Graal-Ostia, simbolo della Grazia divina. Il cavaliere ha lo sguardo rivolto verso il cielo stellato dove gli appare il Figlio di Dio che gli mostra la fonte inesauribile della vita eterna.
Il miracolo eucaristico nella battaglia tra cristiani e saraceni
A sostenere iconograficamente la trama teologico-leggendaria della vela è la scena del miracolo eucaristico che converte il re Saraceno e i suoi soldati. Il prodigio, in cui dall’Ostia esce un bambino con il costato sanguinante e con in mano una croce, si ispira a due diverse leggende, tratte dai Racconti e Leggende cristiane di Re Artù e dei cavalieri della Tavola rotonda, dove il Graal appare dapprima al cavaliere Galvano che vede, all’interno del Sacro Vaso, un calice, un bambino e “Un uomo in croce con la lancia conficcata nel costato”, e poi appare al cavaliere Galaad e ai suoi undici compagni che vedono il Graal al centro di una tavola sopra la quale discende, scortato da quattro angeli, Giuseppe d’Arimatea, primo vescovo della cristianità: gli angeli portano la Lancia sanguinante di Longino, le cui gocce colano dentro al sacro Vaso. Giuseppe celebra una vera e propria liturgia nella quale estrae dal Graal un’ostia, mentre dal cielo discende “una figura simile a un bambino che entra nel pane e lo trasforma in una figura umana, dal corpo tutto nudo e sanguinate, che distribuisce ai presenti l’eucarestia”. Fra rivelazione biblica e leggenda, la vela del cavaliere dell’Apocalisse entrava a far parte degli affreschi di Ugolino per proiettare lo spettatore nell’ideale religioso del tempo.
Cappella del Corporale, allegoria dell’Apocalisse
Il cavaliere della Cappella del Corporale anela al pane spirituale e celeste, cioè cerca di cibarsi dell’Ostia che riceverà in premio dopo aver affrontato prove e peripezie, combattendo con coraggio le forze del male: “Ed ecco mi apparve un cavallo bianco e colui che lo cavalcava aveva un arco” (Ap 6, 2). Il condottiero ha infatti scagliato una freccia che colpisce alla gola una creatura diabolica, la personificazione del Male, che sputa fuoco dalla bocca, dalle orecchie e dalla coda, mentre dalle zampe spuntano quattro grossi artigli con cui il maligno è solito afferrare, come una bestia feroce, la sue prede che sono le anime degli uomini.
La missione del cavaliere, difensore della verità, sarà proprio quella di uccidere i nemici di Dio, primi fra tutti gli eretici Catari e Patarini, che in quel tempo stavano minacciando con audacia crescente la pace della città di Orvieto. I fedeli dovevano dunque guardare alle virtù del cavaliere che sapranno infondere nei cuori, fragili e incerti, una fede eroica. Lungi dal credere che nel Medioevo i cicli pittorici delle chiese fossero semplici decorazioni delle pareti, ovvero la cosiddetta ‘Bibbia dei poveri’ per chi non sapeva leggere, quelle immagini venivano contemplate durante la Santa Messa per invitare la comunità cristiana ad attuare nella vita presente tutto ciò che lì era rappresentato, spiegato e infine compreso.
Cappella del Corporale, allegoria dell’Apocalisse, particolare
Così, nel suo periglioso viaggio, il cavaliere sa, come dovranno saperlo i credenti, che il mistero racchiuso nell’Ostia verrà svelato solo a coloro che ne possederanno le chiavi, cioè gli eletti. Nella scena il cavaliere non può vedere l’Ostia, che splende tra gli astri come sole divino, perché essa è oscurata da una nube. Nessuno infatti può comprendere il segreto del potere eucaristico se non si dimostra degno di riceverlo, come sta scritto ai piedi di Cristo: “Al vincitore darò la manna nascosta (Ap. 2,17). La nube indica e nello stesso tempo nasconde il mistero divino, in una sorta di luce tenebrosa e di tenebra luminosa in quanto il mistero dell’Ostia è la ricerca del segreto di Dio, inconoscibile senza la grazia.
E’ la stessa nube che prima aveva guidato il popolo d’Israele nel suo periglioso viaggio verso la Terra promessa e poi avvolto i discepoli sul monte Tabor, quando Cristo in bianche vesti si trasfigurò spendente davanti ai loro occhi. Il cavaliere può solo ‘intravvedere’ la meta, così come i credenti possono solo intravvedere, con gli occhi della fede, il corpo e il sangue di Cristo celato dal pane e dal vino nella Santa Messa: la realtà divina dell’Ostia è infatti nascosta dalla realtà terrena!
I cavalieri della Tavola rotonda e il Santo Graal
Il cavaliere porta la mano destra sul petto per dire che solo l’uomo penitente, chi è umile al cospetto di Dio, potrà penetrare il ‘velo’ che avvolge il mistero dell’Ostia e che si rese prodigiosamente visibile nella messa di Bolsena, quando il pane di Cristo squarciò la nube d’incredulità e ignoranza degli uomini. Sulla mano destra di Gesù c’è una corona di stelle che sono i sette spiriti di Dio (Ap 5, 6) che i fedeli debbono avere per penetrare il mistero dell’Ostia e comprendere il potere in essa racchiuso.
La Cappella svela qui tutta la sua dimensione epica che fece grande il Medioevo pervaso, nell’immaginario collettivo, dalla leggenda di re Artù e dei suoi valorosi cavalieri: purificato e fortificato da tutte le colpe e debolezze, il cavaliere si eleva sopra la semplice fede, fondata su una “dottrina elementare”, per andare verso una conoscenza più alta, quella dei misteri di Dio, e portare a compimento la missione salvifica di Cristo in terra, secondo la promessa trascritta in fondo alla scena: “Gli fu data una corona e poi egli uscì vittorioso per vincere ancora” (Ap 6, 2).
Ricevendo dal Figlio di Dio quello stesso corpo che Egli ricevette nella vita terrena, il cavaliere di Cristo, simbolo della Chiesa militante, non combatte per collera, avidità o vanagloria ma anela all’unione mistica con Dio per mettersi a servizio del bene, proteggendo anche a costo della vita le povere fanciulle indifese, come risulta da numerose testimonianze artistiche e letterarie dell’epoca; infatti se l’errore e la follia dilagarono nel mondo, il Signore scelse proprio loro, i cavalieri celesti, per inviarli sino ai confini della terra con il compito di mettere fine alle gravose vicende dell’umanità e spiegare perché sono avvenute.
La leggenda di Parsifal
Il ritrovamento del Graal
Quando nel cuore degli uomini non troverà più casa Amore
I cavalieri saranno l’agnello di tutti gli uomini
Essi fonderanno una città perfetta
Camelot, l’Ultima Speranza.
Comprenderanno quanto sia vano ciò li circonda
Quanto a lungo hanno celato il vero ai loro occhi.
E metteranno innanzi a loro il Codice
Un nuovo modo di vivere in pace.
Essi saranno il vessillo degli uomini e sederanno finalmente come eguali
Saranno scudo l’uno dell’altro
Un solo corpo e un solo spirito per sempre.
Dovranno lasciarsi alle spalle la vita precedente
Tutto abbandoneranno
Denari, Averi, Amori, Affetti.
E dopo molto penare e soffrire
E dopo mille cadute e sconfitte
E solo se avranno immensa fede nella loro ricerca
E solo se bandiranno ogni dubbio dal loro cuore
Essi potranno giungere dove io non arrivai
Dove tutti hanno fallito
E il drago verrà sconfitto.
(dal manoscritto di Parsifal, XIII sec., biblioteca del Castello di Jambury)