di Franco Raimondo Barbabella
Prese singolarmente fanno danni, ma messe insieme ne diventano anche senza volerlo un moltiplicatore. Parlo di due parole conosciute da quasi tutti, quando separate, quando congiunte, comunque sempre operative: ipocrisia e demagogia, che congiungendosi danno luogo a una cosa che indifferentemente può chiamarsi o ipogogìa o demacrisìa.
Non vado per le lunghe con gli esempi e prendo l’evento che mi suggerisce l’abbinamento. Ieri mattina sembra che il viceministro dell’istruzione Anna Ascani abbia annunciato su FB di aver vinto la sua storica battaglia: il comitato scientifico avrebbe dato parere favorevole alla sua proposta di fare la festa di chiusura dell’anno scolastico in presenza. Pare dunque che festa si farà, ma solo all’aperto. Tralascio di sottolineare la disinvoltura con cui ormai anche in Italia si pensa che sia normale governare (sic!) con annunci sui social, ad imitazione di Trump. E prendo invece spunto dall’annuncio del viceministro per concedermi il lusso di alcune essenziali considerazioni, dal mio punto di vista inevitabili, senza bisogno di complimenti.
1. Si dice: veniamo incontro al bisogno dei bambini e dei ragazzi di salutarsi almeno alla fine dell’anno dopo mesi di lontananza forzata. Sembrerebbe buona cosa. Ma permane la disposizione delle scuole chiuse fino al 14 giugno. Quindi, se la festa si farà, si dovrà fare appunto all’aperto. Ma permane anche la disposizione del distanziamento fisico. E allora? Ecco, allora meno male che c’è la logica delle tre scimmiette Mizaru, Kikazaru, Iwazaru: non vedo, non sento, non parlo. Noi però non possiamo far finta di niente. L’esigenza c’è, ma via, non si può affrontarla così! Per moltissime scuole dove sono gli spazi esterni? E chi organizza le cose? Il personale potrà essere utilizzato? Quale? Ma soprattutto, come sarà mai possibile garantire il rispetto del distanziamento? Chi lo farà mai rispettare? E in mancanza, come è certo che avvenga, che messaggio educativo diamo, visto che la scuola sarà tenuta ad essere protagonista di cose che si contraddicono per il solo fatto di essere fatte? Per fortuna che c’è la logica delle tre scimmiette! Ma la demagogia e l’ipocrisia, quelle restano congiunte e ben stampate in testa. Unico dubbio: sarà meglio dire ipogogìa o demacrisìa?
2. Nel contempo non si sa ancora nulla di preciso su come si aprirà il nuovo anno a settembre, e quello che si sa fa pensare ad una confusione che vi lascio immaginare. A sua volta questa incertezza dà il destro alla gran parte dei comuni di lavarsene le mani dicendo che non solo non sanno che cosa fare ma non hanno nemmeno un euro per fare quello che loro spetta. Ho notizie precise. Verità solo parziale, perché uno stanziamento è stato deciso e comunque già da tempo ci si sarebbe dovuti premunire se non altro per garantire il distanziamento nel caso di classi numerose. Non solo, ma una ricognizione precisa sullo stato di fatto per predisporre poi per tempo un programma di dettaglio si sarebbe potuta fare. L’avranno fatta? Notizie fornite da fonti diverse dicono che su questo piano il movimento è cosa rara. Vedremo, ma insomma, anche qui ipocrisia e demagogia, dove più dove meno, sembrano trovarsi a loro agio. E indovinate alla fine su chi si scaricheranno tutti i problemi e le tensioni. No, non ve lo dico. Indovinatelo voi. Invece, decidetevi a stabilire se è meglio dire ipogogìa o demacrisìa.
3. E ora due perle rare, che si evincono dall’Ordinanza ministeriale del 16 maggio scorso sugli esami. a) La prima si trova all’art. 17, comma 1, lett. a). Si tratta del fatto che la seconda prova scritta viene sostituita da questa procedura: entro il 1° giugno ad ogni candidato viene assegnato per via telematica un argomento; si può scegliere (si presume dai consigli di classe) “se assegnare a ciascun candidato un argomento diverso, o assegnare a tutti o a gruppi di candidati uno stesso argomento che si presti a uno svolgimento fortemente personalizzato”; una volta svolto, l’argomento entro il 13 giugno viene restituito sempre per via telematica alla scuola, che a sua volta lo trasmette al docente, che lo corregge per poi discuterlo con il candidato in sede di esame. Voi penserete che chi non lo sa fare se lo farà fare da qualcuno e che anche chi lo sa fare si farà comunque aiutare per farlo in modo perfetto e che questo falsa la prova. Badate, c’è il modo per evitare che ciò avvenga, ma dipende dall’inventiva dei docenti, dove c’è. Lo so, voi restate scettici e penserete anche che tutto questo sia un annullamento del senso di scuola e di esame, cioè una finzione. No, guardate, secondo me pensate male, non vi accorgete che questo invece è un grande esperimento collettivo di come al di fuori dell’insegnamento ufficiale ci siano competenze notevoli che la scuola non riesce in altro modo a valorizzare. Suvvia, diciamolo, meno male che possiamo creare finalmente queste occasioni per far crescere le competenze dei nostri ragazzi!
b) La seconda perla si trova all’art. 26, comma 1, lett. c) della citata Ordinanza. Si tratta di questo: “nei casi in cui uno o più commissari d’esame siano impossibilitati a seguire i lavori in presenza, inclusa la prova d’esame, in conseguenza di specifiche disposizioni sanitarie connesse all’emergenza epidemiologica, il presidente dispone la partecipazione degli interessati in videoconferenza o altra modalità telematica sincrona”. Arabo, direte voi. Ma no, fidatevi. Pare che, forse resisi conto di qualche potenziale equivoco, da poco sia arrivata nelle scuole una nota di chiarimento (sic!) con la quale di fatto si imporrebbe al dirigente scolastico di “identificare i docenti che, in quanto ‘lavoratori fragili’ debbono poter utilizzare” appunto quanto detto sopra all’art. 26. Io non voglio dire niente, ma me lo dite voi come fa un DS a stabilire che un lavoratore è “fragile”?
Si dice che è da considerare tale chi ha oltre 55 anni e chi ha certe malattie che lo possono esporre più di altri all’infezione da coronavirus. L’età è facilmente evincibile dal fascicolo personale, ma di per sé non è un oggettivo elemento di fragilità nel senso indicato e ci mancherebbe che il DS lo stabilisca d’autorità. Ve li immaginate i conflitti e i ricorsi? E per le malattie al DS chi glielo dice se ci sono o non ci sono? Dice che il docente interessato deve produrre un certificato medico. E voi pensate che un qualche medico si prenderà la briga di certificare, a parte casi gravi e conclamati, situazioni spesso molto incerte che però hanno questo possibile esito? Ma per favore! Allora, volete sapere come finirà questa storia? Finirà con tanti certificati medici con cui i docenti che rientrano o per età o per qualche motivo in tale casistica giustificheranno di non poter fare gli esami di stato. Dopo dice che mancano i commissari! Chiaro no? Ma voi avete deciso se è meglio dire ipogogìa o demacrisìa?
Beh, io a questo punto sento davvero di poter dire, anzi di dover dire, viva l’Italia, Paese di straordinaria, inimitabile, fantasia burocratica! Siamo seri, chi mai potrebbe eguagliare nel globo terracqueo questo intrico di incontenibile demagogia e di sfrenata ipocrisia, questo far finta che tutto funziona dando a vedere che davvero funziona?