di Silvio Manglaviti
Giovedì 11 agosto (celebrata domenica 14 agosto) 1264, Solennità del Corpus Domini. “Perciò ammoniamo ed esortiamo tutti voi, nel Signore e vi ordiniamo con questa lettera apostolica di celebrare ogni anno una così eccelsa e gloriosa festività, nel suddetto giovedì con devozione e solennità, e di farla celebrare con ogni zelo in tutte le chiese delle vostre città e diocesi, esortando personalmente, e tramite altri, tutti i vostri fedeli, durante la domenica precedente il giovedì anzidetto, con salutari ammonimenti ed ogni sollecitudine, affinché … cerchino di prepararsi in modo tale da meritare di divenire partecipi, con la grazia di Dio, di questo preziosissimo Sacramento, e da poter riceverlo con reverenza nel suddetto giovedì, conseguendo, per sua virtù, aumento di grazie”.
Di seguito il testo in italiano della Bolla Transiturs, di Papa Urbano IV, data in Orvieto, 11 agosto 1264, con la quale si istituisce e promulga la solennità del Corpus et Sanguis Domini:
Transiturus de Hoc Mundo. Traduzione italiana tratta da Ezio Franceschini, Origine e stile della Bolla «Transiturus» in AA.VV.Studi Eucaristici, Atti della settimana internazionale di alti studi teologici e storici, Orvieto, 21-26settembre 1964, Tipografia Fratelli Scaravaglio & C., Torino, 1966; pp. 313-317.
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«Urbano vescovo, servo dei servi di Dio, ai venerabili fratelli patriarchi, arcivescovi, vescovi e a tutti gli altri prelati ecclesiastici, salute e apostolica benedizione. Sul punto di passare da questo mondo al Padre, il Salvatore nostro, Gesù Cristo Signore, essendo imminente il tempo della Sua Passione, consumata la cena, in memoria della Sua morte, istituì l’eccelso e meraviglioso Sacramento del Suo Corpo e del Suo Sangue, lasciandoci in cibo il corpo e in bevanda il sangue. Infatti «ogniqualvolta mangiamo questo pane e beviamo il calice annunziamo la morte del Signore» (1 Cor. XI, 26).
Nell’istituire, poi, questo Sacramento di salvezza Egli disse agli Apostoli: Fate questo in memoria di me (1 Cor. XI, 24) affinché questo altissimo e venerabile Sacramento fosse per noi massimo e mirabile documento del grande amore con cui Egli ci amò. Documento, dico, meraviglioso e stupendo, dilettevole e soave, carissimo e più di ogni altro prezioso, nel quale si rinnovano i prodigi e sono costanti le meraviglie (Eccli. XXXVI, 6), nel quale è riposta ogni delizia e ogni soavità (Sap. XVI, 20) e la stessa dolcezza di Dio viene gustata, nel quale, infine otteniamo aiuto di vita e di salvezza.
È questo il documento dolcissimo, il documento santissimo, il documento salvifico, nel quale richiamiamo il grato ricordo della nostra redenzione; nel quale siamo distolti dal male, confortati nel bene, avviati ad aumento di virtù e di grazie; nel quale, inoltre, siamo ristorati dalla presenza corporale dello stesso Salvatore. Altre cose infatti, di cui facciamo memoria, noi abbracciamo con l’animo e con la mente, ma non per questo ne otteniamo la presenza reale: invece in questa sacramentale commemorazione di Cristo lo stesso Cristo è con noi, presente sotto altra forma, ma nella propria sostanza, veracemente.
Infatti mentre stava per salire al Cielo disse agli Apostoli e ai loro seguaci: Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla consumazione del mondo (Mt. XXVIII, 20), con benevola promessa confortandoli che rimarrebbe e sarebbe con loro anche con presenza corporale. O ricordo prezioso e degno di non essere dimenticato mai, con cui ricordiamo che la nostra morte fu uccisa, che la nostra perdizione fu distrutta dalla morte della Vita, e che l’albero di vita confitto sull’albero di morte produsse per noi frutto di salvezza!
O ricordo glorioso, che riempie di gioia salutare gli animi dei fedeli e colmandoli di letizia dà loro lacrime di devozione! Noi esultiamo invero ricordando la nostra liberazione; e ricordando la passione del Signore, per mezzo del quale fummo liberati, a stento tratteniamo le lacrime. In questo sacratissimo ricordo sono perciò in noi, in unione soave, gioia e lacrime, perché in esso siamo ripieni di gaudio mentre piamente piangiamo, e nello stesso tempo, mentre versiamo lacrime, devotamente godiamo: con lacrime liete e letizia nel pianto.
Anche il cuore, infatti, inondato di gioia immensa, rende dolcemente stillanti gli occhi. O immensità di amore divino, o sovrabbondanza di pietà divina, o eccesso di larghezza divina! Ci ha dato infatti, il Signore, ciò che è Suo, perché ha messo ogni cosa sotto i nostri piedi (Salmo, VIII, 8) e su tutte le creature della terra ci ha dato il dominio. E perfino con il ministero degli spiriti celesti nobilita e sublima la dignità dell’uomo: sono, infatti, destinati a servizio di coloro che ottengono l’eredità della salvezza (Ebr. I, 14).
E pur essendo così copiosa la Sua munificenza verso di noi, volendoci Egli mostrare con immensa liberalità la sua carità senza confini, ci ha offerto Se stesso: e travalicando ogni pienezza di dono e ogni limite di amore si è dato a noi in cibo. Quale singolare e ammirevole liberalità è quella in cui il donatore viene in dono, e il dono è la stessa cosa del donatore! Quale abbondante e prodiga larghezza è quella con la quale uno dà se stesso, e in cui così sovrabbonda il desiderio di dare che pur essendo colma di donativi di cose si allarga fino al dono del donatore: e tanto più si compie quanto più copiosamente si è effusa!
Si è dato a noi, dunque, il Salvatore in cibo, perché – essendo l’uomo precipitato nella morte per un cibo – fosse mediante un cibo rilevato a vita; cadde l’uomo per il cibo del legno portatore di morte, è rialzato l’uomo per il cibo del legno che dà vita; nel primo albero pendette l’esca di morte; nel secondo l’alimento di vita; l’aver mangiato di quello produsse ferita, il gusto di questo apportò salute; il gusto ferì e il gusto curò, e di là donde era venuta la ferita venne anche la medicina: e da dove uscì la morte, di là venne la vita. Di quel primo gusto si dice: in qualunque giorno avrai mangiato, morrai di morte (Gen. II, 17); del secondo si legge: se qualcuno avrà mangiato di questo pane vivrà in eterno (Gv. VI, 52).
Questo è il cibo che ristora pienamente, veramente nutre e più di ogni altro impingua: non il corpo, ma il cuore, non la carne, ma l’anima, non il ventre, ma la mente. All’uomo dunque, poiché aveva bisogno anche di nutrimento spirituale, il misericordioso Salvatore provvide e gli stesso con provvido pensiero il più nobile e più prezioso cibo di questo mondo per l’alimentazione dell’anima. E fu bella liberalità, e conveniente opera di pietà che il Verbo eterno di Dio, il quale cibo è ristoro di ogni creatura razionale, fatto carne, si desse in cibo alla creatura razionale, fatta di carne e di corpo, cioè all’uomo.
Il pane degli angeli, infatti, divenne cibo dell’uomo (Ps. LXXVII, 25) e perciò il Salvatore stesso disse: la mia carne è veramente cibo e il mio sangue è veramente bevanda (Gv. VI, 56). Questo pane si prende, ma non si consuma; si mangia, ma non si tramuta: perché non si tramuta affatto in chi lo mangia, ma, se è ricevuto degnamente, è chi lo riceve che diventa ad esso conforme. O eccellentissimo Sacramento, da adorare, venerare, onorare, glorificare, amare, meditare, innalzare con le maggiori lodi, esaltare con le preghiere più alte, onorare con ogni zelo, perseguire con ogni ossequio di devozione, ritenere con animo puro! O memoriale nobilissimo, da ricordare nell’intimo del cuore, da radicare fermamente nell’animo, da custodire diligentemente nelle viscere del cuore, da richiamare in meditazione e celebrazione frequente!
Di esso dobbiamo celebrare continuamente il ricordo per essere sempre memori di Colui di cui sappiamo essere il memoriale per eccellenza; perché quanto più spesso si vede un dono o un regalo ricevuto, tanto più ci si ricorda della persona che lo ha dato. Benché, pertanto, questo memorabile Sacramento si rievochi con frequenza nelle quotidiane celebrazioni della Messa, riteniamo conveniente e degno che si faccia di esso più celebre solenne ricordo almeno una volta all’anno, specialmente per confondere la perfidia e la insania degli eretici.
Nel giorno della Cena del Signore, infatti, in cui Cristo stesso istituì questo Sacramento, la Chiesa universale, occupatissima nella riconciliazione dei penitenti, nella confezione del sacro crisma, nell’adempimento del mandato sulla lavanda dei piedi ed in altre cerimonie, non può attendere pienamente alla celebrazione di questo eccelso Sacramento. Ora la Chiesa, per ciò che si riferisce ai Santi che noi veneriamo durante il corso dell’anno, benché il loro ricordo frequentemente si rinnovi e nelle litanie e nelle Messe e in altri modi, tuttavia fa sì che il loro natalizio sia rievocato con maggiore solennità in giorni stabiliti lungo l’anno liturgico, celebrando speciali funzioni, a tale scopo, in quegli stessi giorni.
E poiché può accadere che in tali feste, quanto alla dovuta solennità, qualche cosa venga omesso dai fedeli per negligenza, per preoccupazioni di cose mondane o per altra causa dovuta ad umana fragilità, stabilì la stessa Chiesa un giorno preciso in cui fosse fatta commemorazione generale di tutti i Santi; affinché in questa comune loro festività si riparasse a ciò che fosse stato trascurato nelle feste proprie di ciascuno di loro.
A maggior ragione dunque deve farsi ciò nei riguardi di questo meraviglioso Sacramento del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo, che di tutti i Santi è gloria e corona, così che esso rifulga di speciale festività e amore, affinché con dovuto zelo si supplisca e ripari a quanto si è forse trascurato in solennità nelle altre Messe, e i fedeli – spinti dalla stessa festa – riandando dentro di sé al passato, ripaghino attentamente in umiltà di spirito e purezza di cuore quanto con minor pienezza hanno compiuto durante la celebrazione delle Messe, avvinti forse da preoccupazioni mondane, o per negligenza, o per umana fragilità. Seppimo, poi, un tempo, quando eravamo insigniti di minore dignità, che era stato divinamente rivelato ad alcuni fedeli doversi una siffatta festa celebrare in tutta la Chiesa.
Noi pertanto, a corroborazione e ad esaltazione della fede cattolica, degnamente e a ragion veduta abbiamo ritenuto di stabilire che di così grande Sacramento, oltre la quotidiana commemorazione che ne fa la Chiesa, si celebri ogni anno più speciale e più solenne memoria, designando e fissando a questo scopo un giorno preciso, e cioè il giovedì che segue immediatamente l’ottava dopo Pentecoste, affinché in tale giorno le turbe devote dei fedeli accorrano zelanti alla chiesa a questo scopo, e clero e popolo uniti in gioia comune erompano in canti di lode, e i cuori e i voti di tutti, le bocche, le labbra, risuonino di inni e di letizia salutare, e trionfi la fede, la speranza tripudii, la carità esulti, la devozione applauda, la purezza giubili, la sincerità si allieti; i fedeli ad uno ad uno con alacre animo e volontà pronta si raccolgano, lodevolmente rivolgendo ogni loro cura a meglio partecipare ai riti di così grande solennità; e voglia Iddio che l’ardore dell’affetto infiammi i fedeli di Cristo a servirlo in modo che – avanzando essi per abbondanza di meriti presso di Lui per mezzo di questi ed altri atti di pietà – Egli stesso, che si è dato loro in prezzo e si dà loro in cibo, si dia a loro come premio, finito il corso della vita.
Perciò ammoniamo ed esortiamo tutti voi nel Signore e vi ordiniamo con questa lettera apostolica di celebrare ogni anno una così eccelsa e gloriosa festività, nel suddetto giovedì con devozione e solennità, e di farla celebrare con ogni zelo in tutte le chiese delle vostre città e diocesi, esortando personalmente, e tramite altri, tutti i vostri fedeli, durante la domenica precedente il giovedì anzidetto, con salutari ammonimenti ed ogni sollecitudine, affinché, con sincera e pura confessione, con elargizione di elemosine, con attente e pie preghiere ed altri atti di devozione e di pietà, cerchino di prepararsi in modo tale da meritare di divenire partecipi, con la grazia di Dio, di questo preziosissimo Sacramento, e da poter riceverlo con reverenza nel suddetto giovedì, conseguendo, per sua virtù, aumento di grazie.
Noi poi, volendo spronare con doni spirituali i fedeli ad onorare e celebrare devotamente così grande solennità, fiduciosi nella misericordia di Dio onnipotente e confidando nell’autorità dei beati apostoli Pietro e Paolo, benevolmente rimettiamo, delle penitenze loro ingiunte, per quanti si saranno veracemente pentiti e confessati, cento giorni a chi avrà partecipato all’ufficio mattutino della detta festa nella chiesa dove essa sarà celebrata, cento a chi avrà partecipato alla Messa, cento a chi sarà stato presente ai primi vespri della festa, cento per i secondi vespri, quaranta per ciascuna delle ore di prima, terza, sesta, nona e compieta; a quanti poi saranno intervenuti agli uffici di mattutino, di vespro, alla Messa, agli uffici delle ore anzidette, durante l’ottava della festa, cento giorni per ciascun giorno dell’ottava stessa. Dato a Orvieto il terzo giorno prima delle Idi di agosto, anno terzo del nostro pontificato (11 agosto 1264).»
(testo latino): … patriarchae Jerosolimitano, Apostolicae Sedis Legato, et universis archiepiscopis et episcopis per patriarchatum Jerosolimitanum constitutis. Transiturus de mundo ad Patrem, Salvator noster Dominus Jehsus Christus, cum tempus suae passionis instaret, sumpta coena, in memoriam mortis suae instituit summum et magnificum sui Corporis et Sanguinis Sacramentum, corpus in cibum et sanguis in poculum tribuendo. Nam quotienscunque panem hunc manducamus et calicem bibimus, mortem Domini nuntiamus. In institutione quidem huius salutiferi Sacramenti dixit ipse Apostolis: «Hoc facite in meam commemorationem» (Luc. 22, 19) ut praecipuum et insigne memoriale sui amoris eximii, quo nos dilexit, esset nobis hoc praecelsum et venerabile Sacramentum. Memoriale, inquam, mirabile ac stupendum, delectabile ac suave, carissimum et super omnia praetiosum, in quo innovata sunt signa et mirabilia immutata, in quo habetur omne delectamentum et omnis saporis suavitas ipsaque dulcedo Domini degustatur, in quo utique vitae suffragium consequimur et salutis. Hoc est memoriale dulcissimum, memoriale sanctissimum, memoriale salvificum, in quo gratam redemptionis nostrae recensemus memoriam, in quo a malo retrahimur, confortamur in bono et ad virtutum et gratiarum proficimus incrementa, in quo profecto reficimus ipsius corporali praesentia Salvatoris, quia in hac sacramentali Christi commemoratione ipse Christus praesens, sub alia quidem forma, sed in propria vere substantia est nobiscum. Ascensurus enim in coelum, dixit Apostolis eorumque sequacibus: «Ecce ego vobiscum sum omnibus diebus usque ad consummationem saeculi » (Mt 28,10); benigna ipsos promissione confortans, quod remaneret et esset cum eis etiam per praesentiam corporalem. O digna et nunquam intermittenda memoria, qua mortem nostram recolimus mortuam nostrumque interitum vitae obitu interisse ac lignum vivificum ligno mortis affixum, fructum nobis attulisse salutis! Haec est commemoratio gloriosa, quae fidelium animos replet gaudio salutari et cum infusione laetitiae devotionis lacrimas subministrat. Exultamus nimirum nostram rememorando liberationem et recolendo passionem dominicam per quam liberati sumus, vix lacrimas continemus. In hac itaque sacralissima commemoratione adsunt nobis suaviter gaudium simul et lacrimae, quia in ea et gaudemus pie lacrimantes et lacrimamus devote gaudentes, laetas habendo lacrimas et laetitiam lacrimantem. Nam et cor, ingenti perfusum gaudio, dulces per oculos stillat guttas. O divini amoris immensitas, divinae pietatis superabundantia, divinae affluentia largitatis! Dedit enim Dominus nobis sua, quia subiecit omnia sub pedibus nostris et super universas terrae creaturas contulit nobis dominii principatum. Ex ministeriis etiam spirituum supernorum nobilitat et sublimat hominis dignitatem; administratorii namque sunt omnes in ministerium propter eos qui hereditatem salutis capiunt destinati. Et cum tam copiosa fuerit erga nos eius munificentia, volens adhuc ipse in nobis quam exuberantem caritatem praecipua liberalitate monstrare, semetipsum nobis exhibuit et transcendens omnem plenitudinem largitatis omnemque modum dilectionis excellens, tribuit se in cibum. Quam singularis et admiranda liberalitas, ubi donator venit in donum et datum est idem penitus cum datore! Quam laxa et prodiga largitas, cum tribuit quis se ipsum et sic largiendi superabundat affectio, quod amplis rerum sparsa donariis, in largitionem insuper effunditur largitatis, tanto plenius adimpleta quanto copiosius est effusa! Dedit igitur se nobis Salvator in pabulum ut, quia per cibum in mortem homo corruerat, et per cibum ipse relevaretur ad vitam; cecidit homo per cibum ligni mortiferi, relevatus est homo per cibum ligni vitalis, in illo pependit esca mortis, pependit in isto vitae alimentum; illius opus intulit laesionem, istius gustus attulit sanitatem; gustus sauciavit et gustus curavit indeque unde vulnus est ortum, prodiit et medela; et unde mors subiit, exinde vita venit. De illo siquidem gustu dicitur: «Quocumque die comederis, morte morieris» (Gen. 2,17); de isto autem legitur: «Si quis manducaverit ex hoc pane, vivet in aeternum» (Io 6,52). Hic est cibus qui plene reficit, vere nutrit summeque impinguat non corpus sed cor, non carnem sed animam, non ventrem sed mentem. Homini ergo, quia spirituali etiam alimonia indigebat, Salvator ipse misericors, de nobiliori et potiori huiusmodi alimento pro animae refectione pia dispensatione providit. Condecens quoque caritatis liberalitas extitit et convertens operatio pietatis, ut Verbum Dei aeternum, quod rationalis creaturae cibus est et refectio, factum caro, se rationalis creaturae, carni counitae, homini videlicet in edulium largiretur. Panem enim angelorum manducavit homo et ideo Salvator ipse ait: «Caro mea vere est cibus et sanguis meus vere est potus» (Io 6,56). Hic cibus sumitur, sed non consumitur, manducatur, sed non transmutatur, quia in edente minime transformatur, sed si digne recipitur, sibi recipiens conformatur. O excellentissimum Sacramentum, adorandum, venerandum, colendum, glorificandum, amandum et amplectendum, praecipuis magnificandum laudibus, summis praeconiis exaltandum, cunctis honorandum studiis, devotis prosequendum obsequiis et sinceris mentibus retinendum! O memoriale nobilissimum, intimis commendandum praecordiis, firmiter animo alligandum, diligenter in cordis reservandum utero et meditatione ac celebratione sedula recensendum! Huiusmodi memorialis continuam debemus celebrare memoriam, ut illius cuius ipsum fore memoriale vere cognoscimus, semper memores existamus, quia cuius donum vel munus frequentius aspicitur, hic in ventre memoriae strictius retinetur. Licet igitur hoc memoriale Sacramentum in quotidianis Missarum sollemniis frequentetur, conveniens tamen arbitramur et dignum, ut de ipso semel saltem in anno, ad confundendum specialiter haereticorum perfidiam et insaniam, memoria celebrior et sollemnior habeatur. In die namque Coenae Domini, quo die ipse Christus hoc instituit Sacramentum, universalis Ecclesia pro poenitentium reconciliatione, sacri confectione Chrismatis, adimpletione mandati circa lozione pedum et aliis plurimum occupata, plene vacare non potest celebritati huius maximi Sacramenti. Hoc enim circa Sanctos, quos per anni circulum veneramur, ipsa observat Ecclesia, ut quamvis et in letaniis et in Missis ac alias etiam ipsorum memoria saepius renovetur, nihilominus tamen eorum natalicia certis diebus per annum sollemnius recolat, festa propter hoc eisdem diebus specialia celebrando. Et quia forte in huiusmodi festis circa sollemnitatis debitum, aliquid a fidelibus per negligentiam vel rei saecularis occupationem aut alias ex humana fragilitate omittitur, statuit ipsa Ecclesia certam diem, in qua generalis omnium Sanctorum commemoratio fieret, ut in hac ipsorum celebritate communi, quod sic in propriis eorum festivitatibus ommissum existere, solveretur. Potissimum igitur id exsequendum est erga hoc mirificum Sacramentum Corporis et Sanguinis Jesu Christi, qui est Sanctorum omnium gloria et corona, ut festivitate ac celebritate praefulgeat speciali, quatenus in eo quod in aliis Missarum officiis circa sollemnitatem est forsan praetermissum, devota diligentia suppleatur et fideles, festivitate ipsa instante, infra se praeterita memorantes, id quod in ipsis Missarum sollemniis, saecularibus forsan agendis impliciti aut alias ex negligentia vel fragilitate humana minus plene gesserunt, tunc attente in humilitate spiritus et animi puritate restaurent. Nos itaque, ad coroborationem et exaltationem catholicae fidei, digne ac rationabiliter duximus statuendum, ut de tanto Sacramento, praeter quotidianam commemorationem quam de ipso facit Ecclesia, specialior et sollemnior annuatim memoria celebretur, certum ad hoc designantes et describentes diem, videlicet feriam quintam proximam post dominicam festum Pentecosten primo sequentem, ut in ipsa quinta feria, devotae turbae fidelium propter hoc ad ecclesiam affectuose concurrant, ut tunc cleri et populi pariter congaudentes, in cantica laudis surgant, tunc omnium corda et vota, ora et labia hymnos personent laetitiae salutaris, tunc psallat fides, spes tripudiet, exultet caritas, devotio plaudat, iubilet puritas et sinceritas iucundetur, tunc singuli alacri animo promptaque voluntate conveniant, sua studia laudabiliter ad exequenda tanti festi solleoni transfundentes et utinam ad Christi servitutem sic eius fideles ardor dilectionis inflamment, ut per haec et alia proficientibus ipsis meritorum cumulo apud eum, ipse qui se pro illis dedit in pretium tribuitque in pabulum, tandem post huiusmodi vitae decursum eis se in praemium largiatur. Ideoque universitatem vestram monemus et hortamur in Domino, per apostolica vobis scripta mandantes, quatenus tam excelsum et tam gloriosum festum praedicta quinta feria singulis annis, cum novem lectionibus, cum responsoriis, versiculis, antiphonis, psalmis, hymnis et orationibus ipsi festo specialiter congruentibus, quae cum proprio Missae officia vobis sub bulla nostra mittimus interclusa, devote ac sollemniter celebretis et faciatis studiose per universas ecclesias vestrarum civitatum et dioecesium celebrari, subditos vestros in praefata dominica, dictam quintam feriam proxime praecedente, salutaribus monitis sollicite per vos et per alios exhortantes, ut per veram et puram confessionem, elemosynarum largitionem, attentas et sedulas orationes ac alia devotionis et pietatis opera, taliter se studeant praeparare quod huius praetiosissimi Sacramenti, largiente Domino, mereantur fieri participes possintque ipsum dicta quinta feria suscipere reverenter ac eius virtute augmentum consequi gratiarum. Nos enim christifideles, ad colendum et celebrandum venerabiliter tantum festum, donis volentes spiritualibus animare, omnibus vere poenitentibus et confessis, qui matutinali officio festi eiusdem in ecclesia in qua illud celebrabitur interfuerint, centum; qui vero Missae, tot idem; qui autem in primis ipsius festi vesperis intererint, similiter centum; qui vero in secundis, totidem; illis quoque, qui Primae, Tertiae, Sextae, Nonae ac Completorii officii interfuerint, pro qualibet horarum ipsarum quadraginta; eis autem, qui per octavas ipsius festi, matutinalibus, vespertinis, Missae ac praedictarum horarum officiis intererint, centum dies singulis octavarum ipsarum diebus, de omnipotentis Dei misericordia et beatorum Petri et Pauli, Apostolorum eius, auctoritate confisi, de iniunctis sibi poenitentiis misericorditer relaxamus. Datum apud Urbem veterem, II idus augusti, anno tertio. (Volumen V, Tomus I: Acta Urbani IV, Clementis IV, Gregorii X (1261-1276), Typis Polyglottis Vaticanis, 1953, pp. 43-47.)