di Franco Raimondo Barbabella
In epoca di cambiamenti radicali come questi che stiamo vivendo, con tutto ciò che significano in termini di sofferenze, lotte e speranze, conviene parlar chiaro anche più di sempre. E come sempre, se vogliamo orientarci con sufficiente lucidità, conviene partire dai fatti.
1. Si sapeva già, ma la pandemia lo ha reso evidente anche a chi si rifiuta di vedere la luce, che nessuno è isolato e che isolarsi è impossibile. Alla prova dei fatti il sovranismo si riduce a chiacchiera.
2. Non si sapeva con certezza fin dall’inizio, ma col passare del tempo è stato sempre più chiaro che l’Europa c’è. Oltre a ciò che ho detto altre volte, ad es. a proposito della BCE (che ci ha salvati due volte) e del MES (è troppo stupido solo pensare di non utilizzare i 37 miliardi già disponibili per mettere in sesto il nostro molto problematico sistema sanitario), ora si aggiungono le proposte del “Recovery fund” (173 miliardi, di cui quasi la metà a fondo perduto e il resto un prestito a trent’anni a tasso molto vantaggioso, con il solo obbligo di spenderli con un serio programma di riforme strutturali verso un futuro sostenibile). Alla prova dei fatti perciò anche l’antieuropeismo si riduce a chiacchiera.
3. I nodi giungono al pettine. Nonostante le due crisi del 2008/9 e del 2011/12 avessero già dimostrato che il tempo presente non era più quello delle mance e del galleggiamento, non solo si è continuato sulla stessa strada ma si è fatto di peggio. Sguardo corto, improvvisazione, demagogia a gogò, gara a chi la spara più grossa per il consenso a ore alterne. Gente eletta su quest’onda oggi deve fare il contrario di ciò che l’ha portata al successo. Alla prova dei fatti la chiacchiera si è rivelata per essere tale, appunto solo chiacchiera.
Allora, i fatti dicono che l’Europa c’è e che però ora la palla passa agli Stati. Come si orienterà l’Italia? Quali scelte farà? Nonostante gli annunci e la guerra di parole, ad oggi l’incertezza è totale, ma una cosa è certa: poiché gli strumenti ci sono, bisogna dimostrare di saperli utilizzare. In fondo i due criteri guida fondamentali sono chiari da un pezzo: o l’assistenzialismo o lo sviluppo sostenibile (sui piani coordinati economico, sociale, ambientale, educativo, culturale). Mica facile avere una visione coordinata, complessa e di lungo periodo, cioè una concezione progettuale della politica. Perché questa è una cosa seria.
Sta giungendo dunque l’età delle cose serie? Può darsi e dobbiamo puntarci, ma non è detto, perché tanta gente cresciuta col clima dello sciupìo del tutto e subito e delle distribuzioni a pioggia è difficile che si riconverta facilmente ad una visione progettuale.
Peraltro come la mentalità assistenzialista e spendacciona sia ben presente nella classe politica e di governo, si è visto subito dopo l’annuncio della proposta del Recovery fund da parte della Commissione UE, quando in più di uno, a partire dal ministro degli esteri, ha detto che con i soldi dell’Europa si possono ora risolvere tanti problemi, taglio dell’IRPEF, aiuti alle famiglie, ecc.
Non hanno proprio capito, questi problemi si risolvono con operazioni di bilancio attingendo a fondi nazionali e ovviamente con criteri di buona amministrazione, per cui se metti da una parte togli da un’altra. Ovvio che aiutano anche in questa direzione, perché liberano impegni finanziari diretti. Però è chiaro che i finanziamenti europei servono ad altro, cioè a sostenere e a reindirizzare lo sviluppo verso gli obiettivi dell’Agenda 2030, che sono quelli volti a garantire il futuro alle nuove generazioni (riforme e investimenti in linea con le priorità Ue: green, digitalizzazione, sostenibilità, inclusione sociale, giustizia, educazione, ricerca).
E il punto è proprio questo. C’è una classe dirigente, soprattutto quella eletta al governo delle istituzioni a tutti i livelli, che nella gran parte dei casi è frutto dell’epoca dell’assistenzialismo e della spesa facile, che è chiamata oggi a dimostrare di saper fare il contrario. Non è scontato che lo sappia fare, perché, come si sa, la miopia si vince mettendo gli occhiali dopo una bella visita dell’oculista.
I miopi, ammesso che si accorgano del difetto, saranno in grado di andare dall’oculista, cioè di convertirsi e cambiare orientamento? Dobbiamo augurarcelo. In ogni caso tutti abbiamo il dovere di aiutarli nel senso di aiutarci a indirizzare le cose nel senso giusto. In ogni luogo di governo, che sia la nazione o la regione o il comune, chi ha le competenze generali e di settore si deve mettere insieme per spingere le scelte verso progetti di futuro. Per quanto ci riguarda dobbiamo strutturare un progetto di futuro per l’Umbria e qui un progetto di futuro per Orvieto, ambizioso e concreto. I soldi arriveranno e solo se c’è una visione e una capacità progettuale si riuscirà a spenderli e a spenderli bene. Non ci sarà a breve un’altra occasione.
Parlo di visione, pensate, la parola più odiata da certa gente che pensava di essere stata eletta per aver vinto un concorso. Visione bollata come filosofia, come se filosofia volesse dire mondo dei sogni. Ma senza sogno = visione e progetto non vai da nessuna parte, brancoli nel buio, appunto quello a cui ci hanno portato quelli del successo facile, dell’onda emotiva, del tiè e dà qua. Allora, e che diamine, viva la filosofia!