di Pietro Tamburini
Il grande abitato protostorico di monte Bisenzo, già documentato nell’età del Bronzo finale (XII-X secolo a.C.) dai resti di un fondo di capanna venuto alla luce presso la sommità del monte, dovette esercitare in ogni epoca un controllo diretto sulla vicina isola, a cui dette anche il nome (Vesentum>Vesentina>Bisentina).
La scoperta di due piroghe sui fondali lacustri compresi tra l’abitato di Bisenzio e l’isola Bisentina, testimonia con ogni probabilità l’antichità di questo rapporto, oltre a documentare una già sviluppata attività di pesca d’altura; individuate dall’équipe subacquea coordinata da Alessandro Fioravanti, le due piroghe (databili nella tarda età del Bronzo) sono rimaste celate per secoli nel limo lacustre e conservate intatte dall’ambiente subacqueo, fatto di acque fresche e pure, comunque povere di quelle quantità di ossigeno che col tempo, in ambiente aereo, ossidano, consumano e distruggono ogni sostanza organica.
La prima delle due imbarcazioni (figg. 1-2) venne individuata nel 1989 da Massimiliano Bellacima (Centro Lacuale Ricerche di Bolsena) presso l’isola Bisentina, a occidente di punta Calcino, adagiata su un fondale alla profondità di 13,5 metri; dopo aver proceduto allo scavo del relativo contesto archeologico, effettuato a cura della Soprintendenza Archeologica per l’Etruria Meridionale, venne recuperata per mezzo di un’imbracatura galleggiante e trasportata prima nel porto di Capodimonte e poi nell’edificio dell’ex mattatoio, appositamente ristrutturato e attrezzato per consentirne le lunghe e complesse operazioni di restauro. Si tratta di una piroga monossila (e non “monossile”, come purtroppo capita ancora di leggere negli scritti di qualche archeologo poco avvezzo alla lingua italiana), realizzata scavando ad ascia e fuoco un unico tronco di faggio.
É lunga 6,20 metri, poppa e prua sono arrotondate e quest’ultima presenta una parte prominente forata trasversalmente, forse per il fissaggio della corda d’ancoraggio o per l’innesto di un raccordo rigido a un secondo scafo; è stata datata con il radiocarbonio a un momento conclusivo dell’età del bronzo finale (X secolo a.C.).
La seconda piroga (fig. 3) è stata individuata nel 1991 da Amedeo Raggi a circa 400 metri a nord-est di monte Bisenzo, a 12,5 metri di profondità; in questo caso la Soprintendenza competente ha ritenuto preferibile procedere non al recupero dell’imbarcazione, bensì alla sua salvaguardia in situ, lasciandola nel suo sedimento coperta da uno scudo metallico, in grado di proteggerla sia dagli agenti lacustri sia dai malintenzionati.
Prima di questa operazione la piroga è stata oggetto di un’attenta indagine, si è eseguito uno scavo archeologico del sedimento circostante e sono stati prelevati campioni di legno per le analisi radiometriche. Lunga quasi 10 metri e anch’essa monossila, si è rivelata ricavata da un solo tronco di quercia; attraverso l’analisi con il Carbonio-14 è stato possibile datarla verso la fine dell’età del Bronzo medio (XV-XIV secolo a.C.). A differenza dell’altra, questa imbarcazione presenta prua e poppa appuntite e appiattite, entrambe incise da un largo solco longitudinale (fig. 4) in cui, oltre alle funi di ancoraggio, potevano scorrere anche le attrezzature per la pesca (come reti e lenze) quando venivano issate a bordo.
Per chi volesse avere maggiori informazioni o approfondire l’argomento può scrivere direttamente al dott.Tamburini all’indirizzo: pietro.tamburini53@alice.it