Proprio lo stesso giorno della resurrezione di Cristo, due discepoli lasciano Gerusalemme per dirigersi verso Èmmaus. Che cosa vanno a fare? Il piccolo villaggio della Giudea era stato, nel passato, il teatro della storica vittoria di Giuda Maccabeo, eroe d’Israele, sull’invasore pagano Antioco Epifane, re dei Seleucidi. Èmmaus era diventato il simbolo della speranza nel Dio liberatore. Ma colui che tutti ritenevano il ‘messia’ si era lasciato crocifiggere senza aver liberato Israele dall’oppressione dell’impero romano. Egli aveva deluso la grande aspettativa di veder restaurato l’antico e glorioso regno di Davide. Quei due discepoli portavano su di sé il ‘peso’ del loro passato, della storia del loro popolo, lo stesso peso portato da Sisifo, il mitologico personaggio che fu condannato a spingere in eterno un masso sulla cima di una montagna senza mai riuscirci.
La fatica di Sisifo
Perciò essi “se ne andavano quello stesso giorno…”, il giorno della resurrezione, e questo esodo è un andare via dal loro fallimento per rifugiarsi nel ricordo consolante del passato. Non avevano ancora capito che il Dio di Cristo invece che ricostruire quello che era andato perduto – come si fa rimettendo insieme i ‘pezzi’ di un vaso rotto – voleva creare, plasmare qualcosa di completamente nuovo e più grande. Il loro sogno di salvezza si era infatti schiantato contro il muro della violenza umana espressa al massimo grado dai signori del Tempio e del Palazzo.
Avevano perso non solo una persona amata, ma con essa anche ogni progetto di vita. Gesù era diventato, ai loro occhi, un illuso, ed essi che lo avevano ascoltato e seguito erano di conseguenza i delusi: “Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele”. Continuavano a interrogarsi sull’accaduto senza trovare risposta, perché l’ottusità e la durezza di cuore non lo permetteva. Anzi, diventavano sempre più incapaci di dialogare, di ascoltarsi, persino nel loro dolore e smarrimento. Lungo la strada “conversavano e discutevano” o, meglio tradotto, “parlavano e litigavano”. Non sono due ‘credenti’ ma due delusi, due perdenti, due angosciati che litigano, che si dibattono, prigionieri dei loro schemi mentali, del loro sogno infranto, dei loro progetti mancati, svaniti nel nulla, e dunque due uomini che non sanno prestare attenzione ai segni nuovi.
I discepoli di Èmmaus
Allora “mentre discutevano, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo”, come a dire che Dio non è presente solo dove è invocato con fede, ma ovunque c’è un uomo che si dibatte e geme, ponendosi i suoi perché. Cristo si accosta a loro, si fa nomade tra i nomadi, per aprire i loro occhi. Gesù, non riconoscibile nel suo aspetto esteriore, li avvicina per provocarli: “Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi?”.
Con il volto triste, Clèopa racconta i fatti che hanno messo fine al sogno messianico. Anche la notizia della resurrezione, riportata da alcune donne, invece di riaccendere i loro cuori, li sconvolge: alla delusione si aggiunge l’incredulità. Ma Gesù va verso il nuovo, mentre loro rincorrono il vecchio!
Chi è deluso non può credere in nulla che possa cambiare le proprie convinzioni, per cui la chiusura è totale; essi fuggono da ciò che non capiscono, un’incomprensione che rende impossibile l’apertura al futuro. Dopo averli fatti sfogare arriva la risposta: “O stolti e tardi di cuore a credere a quanto i profeti hanno annunciato!”.
Tardi e ottusi, così vengono definiti prima che i loro occhi interiori si aprissero nel momento dello spezzare il pane, ricordo dell’ultima cena. Il Risorto è lì per aiutarli a vedere ciò che impedisce di vederlo… essi non lo riconoscono fisicamente, perché non lo conoscono veramente, profondamente, interiormente. Questo ritorno è anche il momento in cui i due si riuniscono al gruppo dei fratelli.
La cena di Èmmaus, Caravaggio
Gesù si era accompagnato alla vita di quegli uomini per invertire la loro marcia, per cambiare la visione di un Dio trionfatore, liberandoli così da ogni ideologia religiosa. Il Dio di Cristo è un Dio che si propone senza mai imporsi!
Lo scompiglio e la paura di fronte ai fatti della passione aveva fatto andare ciascuno per conto proprio. Ma l’esperienza di Èmmaus li ha trasformati a tal punto da restituirgli energia, coraggio e speranza, ed ora, resi nuovi, diversi, finalmente ‘risorti’, ritornano a Gerusalemme, al luogo della paura e del fallimento, al luogo della ‘sepoltura dei loro progetti’. Questo ritorno è anche il momento in cui si riuniscono al gruppo dei fratelli, alla comunità che avevano abbandonato e che nel frattempo si era ‘chiusa’ in se stessa dopo che il potere religioso e politico aveva tentato di dissolverla.
Gesù risorto è ormai vivo e gli uomini che sono pronti ad accoglierlo diventeranno i testimoni di un modo nuovo di affrontare senza violenza la violenza del mondo. Nel tempo della quarantena globale e delle ‘chiese chiuse’ dove i fedeli si affidano al potere di statue e reliquie per invocare sulla terra chissà quale intervento divino, questo vangelo diventa oggi uno straordinario richiamo a ritrovare nella Storia i segni del Risorto, a saperlo riconoscere nella vita quotidiana quando tutto sembra finito.
– Mirabilia Orvieto –