di Danilo Stefani
Siamo alla programmazione delle fasi. Uno spiraglio di luce tra imposte, imposizioni e impostori. Andiamo verso la fine della Fase 1 (dove ci si ammala e si muore solo di virus) e ci prepariamo alla Fase 2 (dove malattie e morti saranno misti) e cominciamo a pensare alla Fase 3 (dove malattie e morti torneranno nella normalità). Questo è lo schema – orrido, seppure indispensabile – che preme sui sentimenti, sui lutti, sulle persone fatte di numeri.
Uno schema che ha una storia pregressa e continua: fatta dagli “esperti”, oltre che dal vile virus. Tra questi i tanti Esperti dell’esatta e poi contraddittoria scientificità, profusi a contagiare giornali, tv e internet con il tutto e il suo contrario.
Un esempio eclatante sono le mascherine: su queste si sono generati equivoci frutto (o usufrutto?) di ricerche, studi, e pensamenti laboriosi. Ansiosi di apparire per confutare e affermare, qualcuno si è dimenticato la verità, che dovrebbe essere il primo fondamento scientifico. Sì, infine, servono e anzi sono dovute.
Un dispositivo protettivo, prima introvabile e poi anche venduto con orrende speculazioni, che storia le mascherine! Semplici e complesse.
Esse sono l’emblema di questa sciagura; di questo mesto carnevale, dove le maschere cambiano la nostra fisionomia abituale e la nostra Storia.
Qualcosa di buono però c’è: le maschere di Pirandello, invisibili ma presenti, si sono annullate nel “così è… anche se non vi pare”. Siamo divenuti più belli (o più brutti), per dittatura necessaria, per fatti di emergenza, ma anche più uguali. Presenti e visibili, seppure oscurati e alieni.
Poi, a questo carnevale, ci sono da aggiungere i politici – ma qui non si tratta proprio di aggiunta, bensì di conferma – la politica che dà il peggio di sé quando ci sarebbe da dare il meglio, e il meglio di sé quando le cose sono normalmente mediocri. L’ impavida asincronia del “tutti insieme” ma in ordine sparso e casuale, ha accompagnato (e accompagna) il torpore sofferente di queste giornate uggiose pur quando assolate.
Al grido di “armatevi e partite…verso casa vostra”, la politica ha plasmato il colpevole fino a prova contraria. Il contagioso, a prescindere. Non ci sarebbe nulla di male, anzi un male dovuto e più accettabile se la richiesta di sacrifico fosse stata accompagnata dalla presenza sul territorio e da una solidarietà certa. Oltre che da un piano sanitario più affine e in più superfici. Invece, ampie zone di territorio sono state assordate dal silenzio delle Istituzioni di ogni…disordine e grado. (C’è rumore solo nella guerra dentro la guerra: tra regioni e regioni, tra governo e regioni. Insomma, l’equipaggio se le canta e se le suona mentre la nave affonda).
Riceviamo cartelle di pagamento, bollette, conti di ogni genere e siamo schedati da tutti i punti di vista: esiste l’anagrafe, sussistono archivi sanitari digitali dove c’è storia clinica e patologie. Basterebbe consultare e chiamare senza pericolo: il virus non si diffonde per telefono; oppure venga un trillo di campanello, con i guanti per carità, ma niente. Molti anziani, soprattutto, vorrebbero essere rassicurati dalla presenza, e non dai bollettini di guerra diffusi dalla televisione, che creano sgomento, impotenza e incertezza. Il senso di abbandono è stato (ed è) reale: ovvero fisico e psicologico.
La politica così solerte nel presenziare in tempi elettorali, dove offre il “meglio della comunicazione”, è scomparsa – per larghissima parte – nell’emergenza. Rimangono i buoni soldatini, una volta tanto più disciplinati dei tedeschi, ma anche parecchio sfasati.