di Federica Martellini
A volte il silenzio è vasto, come non sapevamo più potesse essere. Nessun motore. Nessuna voce umana.Nessun anima viva alla vista.
(Quanto alle altre anime chissà se ci guardano con compassione o tenerezza. Lo speriamo. Chissà come sono presenti a questo momento, perché che siano presenti quello lo sentiamo).
A volte la campana di San Giovenale risuona, conta l’ora di qualche rito di cui non so bene… e mi dispiace un po’ il non saperlo.
Ora il parroco diffonde quel canto che fa:
«Resta con noi, signore, la sera
Resta con noi che avremo la pace
Resta con noi, non ci lasciar
La notte mai più scenderà…»
si sente fin qui, su tutta la ripa.
A volte una voce in lontananza, da qualche finestra, o di uno che cammina e racconta al telefono i suoi giorni di quarentena.
Ieri nei cortili vicini friggevano (per San Giuseppe si fanno le frittelle di riso qui) e qualcuno aveva acceso una radio ad alto volume:
«I’ve got sunshine on a cloudy day…when it’s cold outside I’ve got the month of may…»
Mi arriva un video da Roma: da una finestra proiettano un vecchio film sulla facciata del palazzo di fronte. Fred Astaire e Ginger Rogers ballano in bianco e nero sulle note di Cheek to Cheek. Nelle finestre, dietro la proiezione, qualcuno si affaccia, una bandiera italiana e una europea stese ai davanzali e una coppia che si unisce alla danza nel soggiorno di casa.
Ognuno prega come sa, con la nota che il cuore gli canta.
E cantano gli uccelli come non si era più abituati a sentirli: schiocchi, richiami, melodie. Sorvolano una vallata che pare essersi fatta all’improvviso deserta, immobile, silente… Chissà come interpretano, loro, questi nostri inediti segnali. Un’amica ce lo ha scritto qualche giorno fa dal Vietnam: che diranno gli uccelli del nostro silenzio?
A me, qualche volta, sembra che si sono fatti più fiduciosi: un merlo becca nel giardino e si avvicina con nonchalance fino a mezzo metro. Un passero osserva verso di me sul ramo qui davanti. E le lucertole dell’orto? Non sembrano più impavide? Più indifferenti al rumore che facciamo per scacciarle dal davanzale. E i gatti del quartiere? Che rimugineranno in quegli occhi assonnati con cui ci guardano di sottecchi dal muretto assolato? Chissà, mi viene di pensare, se tutta la vita intorno a noi non si chieda come mai ci siamo ritirari… sarebbe bello pensare che i nostri compagni di viaggio qui, gli altri animali, si interrogassero su di noi, come quei cani che capiscono quando l’amico uomo non sta bene, o magari solo per capire se è il momento buono per riprendersi un po’ di spazio.
O forse la primavera non sa, fiorisce i suoi tulipani e apre i suoi semi e ci mostra, anche in questi giorni di strazio e dolore per le vite spezzate, di spaesamento, confusione e precarietà, che la vita è forte. All’orizzonte la foschia sfuma i profili delle colline e ogni nostra certezza. Siamo tanto fragili e piccoli. E ignari di fronte ai misteri dell’universo. Creature nella tempesta.
Eppure il tramonto ci consola. Ci promette l’alba.