Articolo di #LilliKnowsItBetter (alias Liliana Onori @cipensailcielo)
Solitamente, un supereroe è un personaggio coraggioso che vota la sua vita a missioni disinteressate per il bene delle persone e che possiede doti mistiche e fisiche particolarmente sviluppate, ha inoltre un costume che funge da icona, un’identità segreta e anche una storia elaborata sulle circostanze in cui ha ricevuto i suoi poteri e Deadpool, irriverente protagonista dei fumetti dell’universo Marvel, ha quasi tutte queste caratteristiche.
Deadpool, al secolo Wade Wilson, in realtà si può considerare più un antieroe. Figlio di un ufficiale della United States Air Force, dopo un’adolescenza difficile, Wade si arruola nell’Esercito dal quale però verrà cacciato per insubordinazione, iniziando così una carriera da mercenario. Scopertosi malato di cancro, gli viene offerta la possibilità di entrare nel progetto Arma X dove viene sottoposto ad una sperimentazione che mira a riprodurre il fattore rigenerante di Wolverine, indistruttibile mutante degli X-Men.
Apparentemente, la procedura fallisce, per cui Wade viene trasferito in un’altra struttura di accoglienza dove diventa la cavia perfetta per gli esperimenti non autorizzati del dottor Killebrew. Devastato irrimediabilmente nel fisico, Wade scopre però che il gene mutante di Wolverine si è in realtà diffuso nel suo sangue, permettendo ad ogni ferita di rigenerarsi in maniera sovrannaturale e rendendolo praticamente invulnerabile, quasi immortale.
È anche un personaggio atipico in quanto rompe spesso la quarta parete, rivolgendosi direttamente al lettore con il suo humor fatto di doppi sensi, spesso anche politicamente scorretti, e di continui riferimenti a film e canzoni. Deadpool è, in parole povere, matto da legare. Soprannominato Mercenario Chiacchierone per la sua incapacità di tenere la bocca chiusa, affronta ogni situazione con l’entusiasmo di un bambino al parco giochi, incurante del pericolo, del dolore e delle conseguenze.
Ammetto che la mia conoscenza di Deadpool si limita ai film perché, come mi sembra di avervi già detto, non sono molto brava con i fumetti. Leggo i dialoghi nelle nuvolette senza guardare le immagini per cui nelle tavole mute mi ritrovo con figure che non ho idea di chi siano…
I due film tratti dai fumetti della Marvel raccontano più o meno fedelmente la storia di Wade, mantenendo saldi alcuni elementi come la carriera militare, il cancro, gli esperimenti genetici e l’amore per Vanessa, ex spogliarellista con la quale stringe una relazione folle proprio come il suo carattere. Folle ma sincera, profonda, e quando Vanessa muore, anche una parte di Wade lo fa. Nel film, Wade ammette di non aver avuto mai una vera famiglia tanto che dice che per lui famiglia non era mai stata una bella parola. Fino a Vanessa, almeno. Vanessa è la sua unica famiglia e perdendo lei, perde tutto. Poi però Wade scopre di avercela in qualche modo una famiglia: ha Colosso e Testata Mutante Negasonica, potenti X Men della scuola di Charles Xavier, Dopinder, un tassista indiano che si trova per caso coinvolto nelle sue vicende e del quale diventerà amico inseparabile, Weasel, padrone del bar dove Wade è solito servirsi e che è uno dei pochi a conoscere la sua vera identità e che, nella pellicola, sarà l’ideatore del nome Deadpool e infine Al, un’anziana non-vedente di colore che gli dà un primo assaggio di casa. Una famiglia inconsueta e anche un po’ disfunzionale, ma grazie alla quale Wade troverà le motivazioni necessarie per non arrendersi e per continuare a salvare il mondo nel suo modo strampalato ma efficace.
I discorsi di Deadpool circa la famiglia mi hanno fatto tanto pensare a cosa significhi averne una.
La famiglia è socialmente considerata come un nucleo rappresentato da più individui che non solo condividono la stessa abitazione ma che hanno anche rapporti di parentela. La famiglia è quindi, fondamentalmente, un legame di sangue.
Gli antichi egizi, per mantenerlo puro, tendevano addirittura a praticare l’incesto sposandosi appunto tra consanguinei.
Nel corso della storia dell’uomo, famiglia ha assunto più nominativi quali clan o tribù ma il significato è rimasto sempre lo stesso: gruppo di persone discendenti da un progenitore comune che presentano omogeneità linguistiche e culturali.
Cinema, letteratura e televisione ci hanno riempito la testa coi più disparati esempi di famiglia: basti pensare ai Cunningham di Happy Days o ai Bradford dell’omonimo telefilm anni ‘80, alle sorelle March del Piccole Donne della Alcott, o ad Anna Karenina di Tolstoj o a Madame Bovary di Flaubert, o ancora ai mafiosi italoamericani Corleone di Mario Puzo da cui Coppola ha tratto la superba trilogia cinematografica de Il Padrino che più di tutti gli altri, e forse in modo anche un po’ troppo estremo, ci ha insegnato come la famiglia venga prima di tutto e che se ne può uscire solo da morti.
Sofocle, drammaturgo greco, per esempio, nella tragedia Antigone, fa dire alla sua protagonista che chiunque nella vita di una persona può essere sostituito, tranne un fratello perché quello non potrà mai rinascere due volte. La stessa figura di UIisse, nell’Odissea, rappresenta con la sua assenza la debolezza della famiglia che, perdendo la sua guida, il suo capostipite, è indifesa, come ad indicare che la famiglia deve restare unita per sopravvivere.
Quindi non c’è solo il sangue, ma anche la dedizione totale e l’unione. Questo è allora la famiglia.
Lilo, protagonista del bellissimo cartone animato Disney Lilo&Stitch, dice che la famiglia è il posto dove nessuno viene dimenticato o abbandonato mentre Jim Butcher che vivere in famiglia rende folli, felici, esasperati e sicuri. Secondo me, una vera famiglia è entrambe le cose. È il porto dove attracchiamo la nave e ci mettiamo in salvo ogni volta che la marea si fa alta, è la farmacia dove troviamo le medicine di cui abbiamo bisogno quando stiamo male, è il baule dei nostri ricordi, è dove ci sentiamo protetti, dove prendiamo un sacco di schiaffi ma dove ci stanno anche baci che curano le ferite, dove se hai paura del buio c’è sempre qualcuno che ti tiene la mano, dove le parole non servono perchè sei ascoltato anche se resti in silenzio, dove se stai sveglio tutta la notte per un esame c’è chi ti aiuta a studiare, dove se hai tanta rabbia dentro di te da non farcela a trattenerla c’è chi ti capisce e ti lascia strillare finché non hai più voce e dove se sbagli c’è chi ti perdona senza riserve.
La famiglia è molto di più di un semplice legame di sangue. Ed anche più di condividere lo stesso dentifricio o lo stesso letto. Perché ci sono famiglie nelle quali non nasci ma nelle quali vieni comunque accolto e amato e forse quelle famiglie, incredibilmente, contano, nella tua vita, più di quella d’origine, perché sono quelle che ti scegli.
Un vecchio detto recita che gli amici sono il modo in cui Dio chiede scusa per i parenti. E sono proprio gli amici questa famiglia che noi scegliamo di avere. Una famiglia che non diamo mai per scontata, che proteggiamo e per la quale siamo pronti a tutti i sacrifici.
Vikki Wakefield scrive che famiglia sono quelle persone che ti vengono a cercare quando ti perdi. Ecco che cos’è la famiglia.
Nella vita di ognuno di noi, ci sono amici che vanno e vengono. Alcuni restano per un po’, alcuni troppo poco e alcuni più a lungo, alcuni per sempre, alcuni il tempo necessario. Ma nessuno mai arriva a noi per caso. Gli amici creano intorno a noi una ragnatela fitta che ci protegge come un avamposto di pietra dal resto del mondo. E anche quando la tela si strappa e il dolore entra, loro si prendono cura di te.
Famiglia è amarsi, è esserci sempre e comunque, nonostante le difficoltà, anzi, forse proprio in quelle più che nei sorrisi, a volte. È festeggiare i reciproci successi o rimediare ai reciproci fallimenti. È sapere di essere amati ma avere comunque bisogno di sentirselo dire e voglia di dirselo, è dirsi una parola sbagliata e restare arrabbiati per un po’ sapendo che il giorno dopo si sarà di nuovo insieme perché le parole muoiono in qualche modo dopo che le hai pronunciate, ma i sentimenti no, mai.
Si dice che a tenere uniti i cuori delle persone non siano soltanto i sentimenti ma anche le ferite, come se un cuore spezzato ne incontrasse un altro e le sofferenze si riconoscessero, decidendo di restare insieme così da sconfiggere il dolore e proteggersi vicendevolmente. Forse è così che nascono i rapporti: le anime si riconoscono, capiscono di avere bisogno l’una dell’altra e restano insieme per un tratto di strada o per tutto il viaggio. Forse, avere una famiglia vuol dire avere qualcuno che ti tenga la mano, che ti accompagni ogni giorno verso quello che sai che ti aspetta e verso l’ignoto che sta dietro ad ogni curva cieca. La mano di qualcuno che non lascia mai la tua, costi quel che costi, accada quel che accada. Una volta che le mani sono unite, allora anche le persone lo sono.
Abbiamo bisogno di mani da stringere per camminare meglio perché la strada non è mai tutta completamente dritta e nemmeno tutta spianata. Ci sono strade in pessimo stato, dove devi procedere con cautela perché sono piene di deformità, ci fanno inciampare e cadere e a volte sono difficili da superare se non c’è qualcuno ad aiutarci.
Gli amici ci lasciano andare quando è il momento che andiamo e ci accolgono quando torniamo. Ci sorridono di rimando quando gli sorridiamo e piangono quando anche noi lo facciamo, ci rimproverano e ci educano, ci insegnano e imparano da noi, ci scuotono quando diamo di matto e non ragioniamo più, ci abbracciano e da semplici unità si diventa magicamente un intero e un intero è sempre più della somma delle sue parti.
La canzone a cui mi ha fatto pensare questo articolo è Family dei Chainsmokers perché dice proprio tutto questo e cioè che gli amici sono la nostra salvezza quando abbiamo la mente offuscata, sono un’ancora, sono la nostra famiglia, sono con noi da quando ci svegliamo a quando andiamo a dormire. Morirebbero per noi. E noi per loro.
La mia famiglia sono Claudia, Alessia, Tiziana, Antonella, Giorgia, Laura, Dino, Chiara, Elisa, Francesca, Alessandro, Fabio, Lorenzo, Daniele, Martina, Eleonora, Flavio, Rosy e una lista molto lunga di altri fratelli e sorelle che mi tengono la mano ogni giorno e che, per mia fortuna, non me la lasciano nemmeno quando cerco di sfilarla convinta di potercela fare da sola. E magari saremmo pure tutti come Deadpool, un po’ strambi, scombinati, fuori di testa e assurdi, ma lo siamo insieme. Solo questo conta.
Alexander Milne dice che una persona veramente fortunata è quella che possiede qualcosa a cui è difficile dire addio. Gli amici e la famiglia che creiamo con loro sono questo qualcosa.
#LillyKnowsItBetter è la rubrica ideata e curata da Liliana Onori, l’autrice di Come il sole di Mezzanotte, Ci pensa il cielo e Ritornare a casa (ed. LibroSì). In collaborazione con LibroSì Lab, Liliana ci racconta dal suo particolarissimo punto di vista di bibliotecaria e soprattutto di abile narratrice di storie, cosa ne pensa di libri, fiction, personaggi e molto altro. Seguila anche sul suo canale Instagram: @cipensailcielo