di #LilliKnowsItBetter (alias Liliana Onori @cipensailcielo)
“Con questa mano io dissiperò i tuoi affanni. Il tuo calice non sarà mai vuoto perché io sarò il tuo vino. Con questa candela illuminerò il tuo cammino nelle tenebre. Con quest’anello io ti chiedo di essere mia” (La sposa cadavere, di Tim Burton)
Sono queste le parole del giuramento nuziale che Victor Van Dort dovrà pronunciare il giorno del suo matrimonio con Victoria Everglot. Solo poche e semplici parole, che ci vuole a pronunciarle?
Eppure, Victor non ci riesce. Forse perché sa che è un matrimonio di convenienza, il loro, non si sono nemmeno mai visti e che non potrà sottrarsi al suo dovere. Neanche Victoria è entusiasta di quest’unione programmata che servirà per salvare i suoi genitori dalla bancarotta. Quando si conoscono, invece, tutto cambia. Si innamorano al primo sguardo e capiscono subito che, nonostante i presupposti sbagliati, dalla loro unione potrà nascere qualcosa di bellissimo. Victor è nervoso, però, è maldestro, incespica nelle parole e durante le prove della cerimonia non gli riesce nemmeno di accendere una candela oltre a non farcela a recitare correttamente la sua promessa, tanto che il prete lo caccia e gli dice di tornare solo quando l’avrà imparata a dovere perché, fino ad allora, non celebrerà nessun matrimonio. Victor scappa via dalla chiesa e corre fuori dalla città, rimproverandosi per la sua goffaggine che sta rischiando di rovinare tutto. Si addentra nella foresta e mentre prova per l’ennesima volta il suo giuramento, preso da improvvisa ispirazione, lascia scivolare la fede destinata a Victoria su un ramoscello che fuoriesce dal terreno. Solo che quello non è un ramoscello ma lo scheletro di una mano e, non appena l’anellino viene infilato, da sottoterra si alza il corpo semidecomposto di una bellissima sposa che con la semplice espressione Lo voglio suggella la loro unione. La ragazza dice di chiamarsi Emily e porta Victor, inerme, nel Mondo dei Morti con sé. Lì, Victor scopre il triste destino della sua sposa dell’aldilà compiutosi tempo prima per mano di un marito crudele che l’aveva uccisa per impadronirsi della sua ricchezza. Sebbene dispiaciuto per la sua storia, Victor cerca di spiegarle che quello nel bosco è stato solo un macabro equivoco e che l’unica cosa che vuole è tornare da Victoria, perché è lei quella che ama. Nel frattempo, nel mondo dei vivi, che a differenza di quello dei morti, colorato e allegro, è grigio e spento, i genitori di Victoria, insensibili e frettolosi di accasare la figlia con qualcuno di facoltoso, decidono di concedere la sua mano ad un sedicente Lord che ha, a sua volta, mire tutt’altro che lodevoli.
Quando Victor lo scopre, capisce di non avere più nulla per cui valga la pena tornare di sopra e poiché il matrimonio con Emily non è del tutto valido a causa della sua condizione di non morto, accetta di bere il Vino del Tempo dei Tempi, un veleno che gli permetterà di vivere per sempre nell’aldilà con la sua sposa cadavere. Emily però, quando capisce che l’amore di Victor per Victoria è sincero e che, volendolo tenere con sé a tutti i costi, ruberebbe la felicità di un’altra sposa, lo scioglie dal vincolo del suo giuramento e gli impedisce di bere il filtro, liberando in qualche modo anche se stessa dalla condanna dell’eterna infelicità.
Primo film girato in stop-motion (tecnica cinematografica che consiste nella ripresa di un frame alla volta con cui, variando leggermente la posizione degli oggetti, si crea l’illusione del movimento), il cartone animato di Tim Burton si ispira a una fiaba medievale ebraica, Il dito, che racconta proprio di una sposa uccisa e seppellita col suo abito nuziale e di un giovane che, per uno scherzo del destino, infilando la fede in un ramoscello, diventa suo marito. La morale della fiaba è molto legata alla cultura giudaica secondo cui i vivi non devono mai separarsi dal ricordo dei morti e il messaggio del film è in parte proprio questo, ma c’è anche molto di più, secondo me.
La favola della sposa dell’oltretomba va ben oltre ciò che mostra. Non si tratta soltanto di un triangolo amoroso che si regge in equilibrio tra fantasia, canzoni e humor commovente. È un’ode all’amore e al sacrificio e anche se il finale è un po’ agrodolce, non si può fare a meno di sorriderne. Il personaggio di Emily colpisce dritto al centro del petto e scava anche nei pensieri perché quello che dovrebbe essere un mostro in realtà non lo è affatto. Emily, infatti, è un po’ tutti noi e la sua storia ci insegna molto di più che a non scordarci dei morti. Ci insegna il valore della fiducia cieca che si ripone nelle mani di chi si ama, la fermezza di una promessa che vale anche se fa paura, anche se le motivazioni e le circostanze per cui è stata fatta ad un certo punto non sono più le stesse, ci insegna l’essenza vera dell’amore che non consiste solo nell’amare qualcuno ma nel volere il suo bene ancora prima del proprio, ci insegna l’onestà dei sentimenti e il coraggio di dire addio quando arriva il momento di farlo, anche se non vorremmo.
Chi non è stato mai tradito, lasciato, illuso e deriso?
La scia malinconica che Emily si porta dietro è comune a chiunque di noi. Tutti, chi più chi meno, chi prima chi dopo, abbiamo sofferto le nostre pene d’amore, siamo stati traditi, feriti, lasciati, illusi e derisi, abbiamo sentito il cuore spezzarsi e strapparsi come se fosse fatto di carta, abbiamo pianto tutte le lacrime che avevamo e tra i singhiozzi ci siamo chiesti Perché? imparando a nostre spese che non ci sono cure, né pomate, né elisir, né scorciatoie, né tantomeno vie di fuga per guarire dal dolore ma che bisogna solo lasciare che scorra il tempo necessario e che tutto passi da sé.
Come Emily, abbiamo creduto di non poter provare più nulla, che come lei non ci saremmo bruciati neanche toccando la fiammella di una candela, né feriti camminando su pugnali affilati perché la perdita del nostro amore ci aveva resi insensibili a tutto, ci aveva uccisi, fermando il nostro cuore. Ma quello che il mito del cadavere ci dimostra è proprio che anche un cuore che ne ha passate tante può ancora farcela, può ancora provare qualcosa di buono, anche se è fermo da tanto tempo. L’amore cambia l’assetto della nostra esistenza, della nostra quotidianità, cambia il nostro punto di vista, le nostre priorità, cura le ferite e anche se il sogno fallisce, vale sempre la pena rischiare di amare, finché non è troppo tardi. L’amore apre una crepa dentro di noi da cui passa una forte luce e una volta che succede non si è più gli stessi. L’amore ci sbarra il passaggio, diventa l’unica alternativa possibile, segna il nostro destino, è un collante invisibile che tiene unite due persone per sempre, anche quando sembra finito perché, in fondo in fondo, l’amore vero non finisce mai davvero. Quando ci si innamora, è come ritrovare il sentiero perduto, come sentirsi sempre al sicuro ed è una sensazione che si concentra dentro di noi tanto da calcificarsi, quasi. L’amore, forse, è semplicemente non avere più parole per spiegare come ci si sente.
L’amore è forse raggiungersi?
Nietzsche una volta ha scritto che tutto quello che viene fatto per amore è sempre al di là del bene e del male. Io non so se sia del tutto vero, ma penso che quando si vuole tanto bene a qualcuno è facile che i margini di giusto e sbagliato si confondano. Il mio amico Alessandro ha una visione tutta sua dell’amore e, ogni volta che ci troviamo a parlarne, finiamo per litigare (…ma succede anche quando discutiamo di film e libri!). Lui non crede in niente, a cominciare da Dio, però da quando ci conosciamo so per certo che in qualcosa ha iniziato a credere: lui crede in me, crede nella nostra amicizia, crede che dividere un film e un divano valga più di un matrimonio istituzionale perché, in qualche modo, è quella la reale promessa di eternità, la base di un legame vero e duraturo: raggiungersi nei punti di congiunzione, al crocevia delle proprie passioni. Noi due siamo profondamente diversi eppure, nonostante i nostri rispettivi scetticismi, abbiamo capito qual è la strada per arrivare l’uno all’altra e forse ha ragione, forse è proprio come dice lui. Forse l’amore è davvero raggiungersi.
Gli antichi romani credevano che dall’anulare sinistro partisse una vena che arrivava direttamente al cuore, per questo la fede del matrimonio si infila a quel dito, perché la promessa arrivi subito lì, subito al cuore e in qualche modo ci resti attaccata per sempre.
L’amore resiste. Sempre
La canzone a cui mi ha fatto pensare questa favola è Whutering Heights di Kate Bush, ispirata dall’omonimo romanzo di Emily Brontë che, per come la vedo io, è il romanzo più bello mai stato scritto, e l’ho scelta perché racconta di un amore che non è mai morto e che di notte, come un fantasma, bussa alla finestra del suo amato chiedendo di poter entrare, di poter tornare da lui per rimediare e per avere ancora un’occasione di essere felice. Anche Catherine in qualche modo è stata una sposa cadavere e il suo ricordo non ha mai lasciato Heatchcliff. Il loro è un amore che è sopravvissuto nonostante tutto, anche nonostante una separazione definitiva come quella causata dalla morte. E forse l’ho scelta proprio perché, malgrado tutto, io ci credo ancora nell’amore eterno e credo che quello vero sia esattamente così, come quello di Emily, e anche come quello di Cathy e Heatchcliff.
Io ci credo che l’amore resiste, sempre.
#LillyKnowsItBetter è la rubrica ideata e curata da Liliana Onori, l’autrice di Come il sole di Mezzanotte, Ci pensa il cielo e Ritornare a casa (ed. LibroSì). In collaborazione con LibroSì Lab, Liliana ci racconta dal suo particolarissimo punto di vista di bibliotecaria e soprattutto di abile narratrice di storie, cosa ne pensa di libri, fiction, personaggi e molto altro. Seguila anche sul suo canale Instagram: @cipensailcielo