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Home Otre l'Orvietano

Nel Parco dell’Aspromonte vivono alcune delle querce più vecchie del pianeta

Redazione by Redazione
12 Novembre 2019
in Otre l'Orvietano, Viterbo, Archivio notizie
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Nell’ambito delle ricerche congiunte tra Ente Parco dell’Aspromonte, Carabinieri Forestali e Università della Tuscia, finalizzate all’ampliamento del sito Unesco “Ancient and Primeval Beech Forests of the Carpathians and Other Regions of Europe”, che tutela aree forestali europee strategiche per la conservazione di questo patrimonio mondiale, il team di ricerca, coordinato dal professor Gianluca Piovesan (Università della Tuscia, Dafne), ha rinvenuto alcune roveri monumentali nella faggeta vetusta di Valle Infernale, gestita dal Raggruppamento Carabinieri Biodiversità (Foresta Demaniale dell’Alto Aspromonte).
Una di queste querce, di quasi due metri di diametro, ha rivelato un’età di oltre 560 anni: si tratta, come spesso accade negli alberi monumentali, di un esemplare con il fusto cariato. La datazione è stata effettuata con il metodo del radiocarbonio. Questa maestosa rovere dell’Aspromonte diviene a questo punto una delle querce datate con metodo scientifico più vecchie al mondo.
Siamo davanti a un cosiddetto “albero-habitat” che, insieme a tanti altri presenti nella foresta Ferraina, permette la vita di un gran numero di specie vegetali e animali, molte delle quali rare proprio perché legate agli ambienti forestali ad alta naturalità, dove gli alberi seguono un ciclo naturale dalla nascita fino alla morte.
Proprio il legno morto, degradandosi, arricchisce infatti il suolo di sostanza organica, incrementandone la fertilità e l’efficienza ecosistemica.
“Non a caso, da una delle cavità esaminate durante il prelievo del frammento di legno per la datazione al radiocarbonio sono usciti degli esemplari di Morimus asper, un coleottero di notevole interesse. In questa era di cambiamenti globali, conservare habitat forestali vetusti nella loro integrità risulta prioritario per lo sviluppo sostenibile, così come pianificare e attuare strategie di rewilding (ossia “la natura che si prende cura di se stessa”).
“Questi habitat forestali ad alta naturalità, molti dei quali conservati nelle Riserve Statali, hanno un valore inestimabile e costituiscono un serbatoio da cui le specie minacciate possono tornare a diffondersi nei territori in rewilding” sottolinea Gianluca Piovesan.
Le aree protette rappresentano un obiettivo cardine dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e l’Università della Tuscia sta dedicando una attenzione crescente alla conservazione della natura con attività di ricerca e formazione in collaborazione con Parchi e Riserve nei diversi ambienti della penisola dal mare alla montagna” aggiunge il neoeletto rettore Stefano Ubertini.
Si tratta, infatti, di concretizzare gli accordi di politiche ambientali internazionali e i parchi nazionali, in questo caso l’Aspromonte, divengono così i luoghi candidati a sperimentare le soluzioni proposte dalla biologia della conservazione per salvaguardare la biodiversità e mitigare l’impatto dei cambiamenti climatici.
La foresta demaniale dell’Alto Aspromonte, grazie alla lunga opera di tutela operata dal Corpo forestale prima e dai Carabinieri Forestali oggi, rappresenta un caso di studio di eccellenza nella conservazione della natura, tanto che questo esempio sarà divulgato nell’ambito del progetto Italian Mountain Lab.

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