ORVIETO – Questa è la storia di una chiacchierata strana, molto lunga, cominciata in un bar a ridosso del casello autostradale di Orvieto che non era ancora Pasqua e terminata in una tiepida mattinata di settembre con l’intervistata e l’intervistatore divisi da quasi 600 chilometri. Lucia Vergaglia all’epoca era in attesa di sapere se il M5S l’avrebbe l’avrebbe riproposta alle elezioni amministrative di fine maggio, oggi invece si ritrova candidata alle regionali del 27 ottobre avendo preso ben 117 voti di preferenza sulla piattaforma Rousseau, sulla quale ha avuto l’onore di essere stata presentata come capolista.
In mezzo a questi due estremi c’è una traversata del deserto, un tragitto che ha lasciato il segno nella coriacea corazza dell’avvocato napoletano, perchè la mancata presentazione della lista pentastellata alle comunali di Orvieto non è stata facile da digerire. Grillina della prima ora (perdonerà senz’altro questa definizione poco originale), Lucia Vergaglia è una donna di principi, tutta di un pezzo, capace di mandare giù bocconi amari rimanendo al contempo fedele a chi, imprudentemente, l’aveva invece accantonata: la sua eresia forse, è stata quella di aver sempre creduto che il M5S ci azzeccasse poco con Salvini, di aver sempre auspicato se non un’alleanza elettorale, quanto meno una parvenza di dialogo con la sinisitra.
Fin da quando a Napoli si battè nei comitati per l’acqua pubblica, ha sempre militato accanto a Roberto Fico, attuale presidente della Camera e punto di riferimento insostituibile per l’ala sinistra del movimento. Quel Roberto Fico che non ha mai mancato di rispondere per le rime alla tracotanza salviniana, che ha mal digerito la mossa a sorpresa che portò alla formazione del governo giallo – verde nel giugno del 2018. Lucia Vergaglia oggi potrebbe dire a buon titolo: “Io l’avevo detto”. Nessun analista politico, neanche un Isaac Asimov tra i frequentatori dei palazzi romani, avrebbe mai immaginato a Pasqua che il mojito del Papeete avrebbe fatto girare la testa a Salvini, tanto da fargli fare un paio di passi fatali sull’orlo del precipizio politico.
A Pasqua, in quel bar vicino all’imbocco dell’autostrada, Lucia Vergaglia non avrebbe mai immaginato di trovarsi candidata alle regionali umbre, all’interno di un esperimento politico che dagli scranni del Parlamento tenta di radicarsi nei territori: “l’operazione di palazzo”, come i detrattori definiscono il governo PD – M5S, verrà messa alla prova delle urne per la prima volta proprio in Umbria e sarà l’Umbria a decretare se questa alleanza avrà un futuro politico radicato tra gli elettori, oppure sarà destinata a cadere nell’oblio entro qualche tempo.
L’avvocato partenopeo, che ha avuto un colpo di fulmine con Orvieto talmente potente da decidere di passarci il resto della sua vita, e per Orvieto ha battagliato in consiglio comunale nel quinquennio 2014 – 2019. si trova così catapultato al centro dell’agone politico, in una sorta di prova generale per le alleanze future che nelle prossime settimane catapulterà la piccola Umbria sulle prime pagine di tutti i giornali nazionali.
Al di là del risultato che potrà ottenere, la candidatura di Lucia Vergaglia è al tempo stesso una novità e un ritorno alle origini per il movimento guidato da Luigi Di Maio, proprio perchè appariva troppo innaturale l’alleanza con una destra salviniana intrisa di pericolose nostalgie, popolismo becero e mancanza di visione riformatrice. La novità, se così si può dire, sta anche nella scelta di determinate candidature da parte del popolo pentastellato, perchè dopo il doloroso impatto con la realtà del governo, è stato evidente a tutti, Grillo e Casaleggio in primis, che se in linea di principio “uno vale uno” è un motto pienamente condivisibile, la competenza sembra tornata di moda nelle file dei Cinquestelle.
Basta leggere i curriculum di alcuni tra i candidati più votati per rendersi conto che l’Umbria, ben oltre il risultato elettorale che sancirà comunque la fine di un’epoca, è divenuta terreno fertile per progettare una politica nuova. In tutto questo, c’è l’auspicio che Orvieto possa finalmente tornare ad essere rappresentata a palazzo Cesaroni, magari da facce non solo completamente nuove ma portatrici di una cultura politica poco avvezza a scendere a patti con le vecchie consorterie di destra e di sinistra. (Gabriele Marcheggiani)
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