di #LilliKnowsItBetter (alias Liliana Onori @cipensailcielo)
Derry è diversa da tutte le altre città del Maine. Anzi, lo è addirittura da tutte le altre del mondo intero. È una città maledetta, le cui fondamenta poggiano su fogne che non sono del tutto disabitate. E non c’entrano niente i topi, perché nelle fogne di Derry, tra i suoi canali maleodoranti di acque reflue, si aggira qualcosa di più pericoloso dei ratti. Qualcosa di maligno che, negli anni, ha marcito non solo la città, ma anche ogni suo abitante. Derry è il male e tutto quello che nasce a Derry non resta illeso dall’ospite delle sue fogne. Un pagliaccio. Un pagliaccio col sorriso largo e i capelli rossi, i ponpon arancioni che gli decorano il vestito e un mazzo di palloncini colorati in mano. Un pagliaccio che niente ha a che vedere con quelli del circo che hanno lo scopo di divertire i bambini, perché questo pagliaccio i bambini li mangia. Vorace e distruttivo, il pagliaccio di Derry, Pennywise, diventa l’incubo di tutti i ragazzini e dei mocciosi della città.
Tutto inizia in un pomeriggio piovoso in cui il piccolo Georgie Denbrough esce di casa per giocare con la barchetta di carta che suo fratello maggiore Bill, a letto con la febbre alta e affetto da balbuzie, gli ha appena costruito con un foglio di giornale. Georgie vuole solo vederla navigare sui ruscelletti d’acqua che la grossa pioggia sta scaricando lungo i marciapiedi e che finiscono dritti dritti nei tombini, fin giù nelle fogne. E la barchetta di carta è proprio lì che finisce, in un tombino. Georgie si avvicina per recuperarla ma qualcosa nel buio gli afferra il braccio, staccandoglielo di netto e uccidendolo. Ma non è stato qualcosa… è stato Pennywise. Da quel momento, niente sarà più lo stesso per i Denbrough, in particolar modo per Bill che si sentirà per sempre responsabile della morte del fratellino. E niente sarà più lo stesso anche per i suoi sei amici: Richie, chiacchierone e imitatore di voci; Eddie, asmatico e con una madre apprensiva; Stanley, timido e scettico; Beverly, l’unica ragazza del gruppo con la nomina di poco di buono; Mike, il ragazzo di colore vittima di bullismo razziale, e Ben, il grassone intelligente. I Perdenti, così si fanno chiamare. E così si sentono. Tranne quando sono insieme perché, in quei momenti, le loro vergogne, i loro problemi, i loro guai e anche i loro difetti si azzerano. Nel loro club, sono tutti uguali. Sono un po’ la versione horror dei moschettieri di Dumas. Uno per tutti e tutti per uno. Ed è proprio grazie a questa loro unione, alla loro amicizia e all’amore profondo che li lega l’uno all’altro che saranno i soli a farcela a sconfiggere l’essere che mangia i bambini e che avvelena ogni anima a Derry: IT.
It è un essere multiforma, incarna le paure di ogni componente del gruppo. Il lupo mannaro, il lebbroso e lo stesso Georgie sono solo alcune delle identità che It assume per spaventare i ragazzi, per separarli e renderli deboli. Perché Pennywise lo ha capito, ancora prima dei sette ragazzini, che contro di loro non può vincere. Il loro legame è troppo forte, più forte persino di lui.
Quella dei Perdenti e di It è una storia che dura ben 27 anni. Riusciti da ragazzini a farlo sparire nelle fogne grazie proprio al potere generato dalla loro fratellanza, si ritroveranno da adulti a dover rispettare il patto di sangue di quasi trent’anni prima e ritornare a Derry, abbandonata da tutti loro tranne che da Mike, per salvare i bambini e combattere di nuovo contro It, ricomparso per dare inizio ad una nuova carneficina.
Lontano da Derry, tutti hanno dimenticato il pagliaccio, quell’estate del ’58 e perfino la loro stessa amicizia, ma non appena ricevono la telefonata di Mike che li avverte del ritorno di It, in qualche modo capiscono subito di dover tornare anche loro, che è una cosa importante. Non ricordano perché, non lo sanno nemmeno perché, ma non se lo fanno ripetere due volte. Partono e tornano a Derry. Devono andare, lo sanno che devono. Appena si ritrovano di nuovo tutti insieme, la memoria piano piano torna a galla, accompagnata da vecchi dolori e da vecchie paure, ma la loro amicizia riuscirà a salvarli di nuovo, stavolta per sempre.
Il libro, il film, l’amicizia
Dopo tutti questi anni, non credo di cadere in nessuno spoiler parlando della storia dei Perdenti e di It. In fondo, sarebbe come se mi si accusasse di commettere spoiler rivelando che Darth Vader è il padre di Luke Skywalker… ormai, chi non lo sa?
Chi ha letto il libro ha sicuramente anche visto lo sceneggiato del 1990 e la recente trasposizione cinematografica che ne è stata fatta, e tutti ci siamo fatti bene o male la nostra idea su chi è stato il pagliaccio migliore (Tim Curry!) o se è preferibile lo sceneggiato o il film, ma al di là delle opinioni personali, c’è il messaggio del libro che rimane, secondo me, il punto focale di qualsiasi discussione si possa fare sulla storia di Pennywise. Il messaggio, così come è arrivato a me direttamente dalle sue pagine (le sue 1200 pagine, per essere precisi!) è che c’è qualcosa più forte perfino del male primordiale, di un mostro assassino e senza pietà che è capace di avvelenare un’intera città: l’amicizia. I sette Perdenti si salvano solo grazie al loro legame, un legame che fa vincere ogni paura, che li fa sentire forti e mai, mai soli. Un legame nato sotto il segno del male ma che riesce a spezzare l’efferata catena secolare di omicidi. I sette Perdenti sono una cosa sola, un’unità e un’unità è sempre più grande della somma delle sue parti.
Siamo stati tutti I Perdenti
Ho pensato tanto a quello che Stephen King ha voluto raccontare in questo romanzo e ho anche sottolineato tantissime frasi che mi hanno lasciato a volte l’amaro in bocca, altre inquietudine, altre invece un senso pace. Vedete, molti dicono che amano leggere perché i libri li trasportano in altre realtà dove riescono a perdersi con le loro menti. Io invece amo leggere perché ci sono dei libri che non mi fanno perdere, ma che mi fanno ritrovare. Un libro secondo me è un buon libro se ti mette di fronte a te stesso, al tuo passato, al tuo presente, alle tue paure e alle tue speranze, se ti fa trovare questo tuo te stesso, insomma, in una riga, in un capitolo o magari in due. Se senti che il libro parla di te, allora stai leggendo il libro giusto. I libri giusti raccontano una storia che in realtà sono due: quella dei protagonisti e la tua. Beh, io non ho mai dovuto combattere contro nessun pagliaccio mangiatore di bambini, ma ho avuto comunque i miei mostri, i miei bulli da fronteggiare e anche le mie paure da sconfiggere. Sono stata anch’io una perdente. E sono stata anche Bill, perché non sempre mi sono sentita una brava sorella; sono stata Beverly quando da bambina mi prendevano in giro in modo malizioso perché giocavo più volentieri coi maschi che con le ragazzine della mia età; sono stata decisamente Ben, intelligente ma cicciona, spesso nascosta sotto felponi che speravo avessero il potere di rendermi invisibile, e così via…
Una volta, una persona che amo molto mi ha detto che un amico è il compagno del viaggio più lungo che si fa: la vita. Certi amici a volte ci deludono e ci spezzano il cuore, se ne vanno senza voltarsi indietro e senza neanche chiedere scusa, ma per ogni amico che se ne va, prima o poi, ne arriva uno nuovo a prenderne il posto, così che ci sia sempre una sorta di equilibrio nella nostra vita. Perché se c’è una cosa in cui credo con tutto il mio cuore è proprio che nel mondo c’è equilibrio e che tutto quello che ci viene tolto, in qualche modo e coi tempi giusti, poi ci viene dato indietro. Magari accade sotto un’altra forma, ma ci viene comunque restituito, anche se all’inizio non siamo in grado di accorgercene. Nessuno arriva a noi per caso e i sette perdenti di Derry ne sono un esempio che rimarrà per sempre raccontato nelle pagine di questo libro. Un libro che deve essere letto perché, al di là di tutto, lascia il messaggio più importate e cioè che l’amore ci salva, sempre. Davvero. Ovunque. Comunque.
Una delle tante frasi sottolineate che mi ha colpito particolarmente, tanto da ispirarmi il titolo dell’articolo, è questa: «A Derry, era come se fossero sempre alla venticinquesima ora.».
La venticinquesima ora è un modo di dire legato alle ultime ore che precedono la carcerazione dopo la condanna e rappresenta un po’ il purgatorio per l’uomo che le trascorre in libertà prima di essere rinchiuso. È una specie di morte spirituale. E l’ultima ora di libertà, la venticinquesima appunto, è proprio l’ora fatale, quella in cui si ha la percezione che tutto stia per finire e la consapevolezza che tutto di lì a poco cambierà. È l’ultima pagina. Il punto che mette fine alla storia. E a Derry, questa sensazione di imminente disastro ce l’hanno sempre tutti…
Il concetto di venticinquesima ora mi ha sempre affascinato tanto, forse perché tutti noi abbiamo vissuto dei momenti in cui ci siamo sentiti senza scampo, in cui abbiamo visto tutto andare in frantumi senza poter nemmeno reagire, in un tempo che va oltre le lancette dell’orologio e che crea un’ora che non esiste nel giorno ma che è quella che conta più di tutte le altre perché dopo niente sarà più uguale. Tutti abbiamo avuto la nostra venticinquesima ora dopo la quale abbiamo dovuto scontare la nostra condanna.
In fondo, forse, siamo tutti dei Perdenti… Ma forse, se abbiamo un amico che è disposto a combattere con noi o per noi quando da soli non siamo forti abbastanza, allora non ci sarà mai nessuna venticinquesima ora di cui avere paura.
La canzone
La canzone che mi ha ispirato questo romanzo è Brother dei NeedToBreathe perché, così come cita il testo, ognuno di noi deve essere un riparo per il proprio fratello, la sua fortezza quando i venti si fanno forti, il faro che lo riporta a casa, senza lasciarlo mai solo. Bill, Eddie, Richie, Bev, Mike, Ben e Stan sapranno essere tutto questo l’uno per l’altro, sempre. Sapranno sfidare la paura e giocarsi la propria vita per salvare quella degli altri. Saranno fratelli, non di sangue ma nell’anima. Oltre la distanza, la memoria perduta, la paura e la morte stessa.
A volte, credo che i mostri peggiori siano dentro di noi. Anzi, forse i nostri mostri peggiori siamo proprio noi. Noi siamo i nostri It, i nostri pagliacci. Forse, tutti dobbiamo scendere un po’ nelle fogne ogni tanto e trovare il coraggio di lottare. O forse, semplicemente, siamo destinati tutti a galleggiare…
#LillyKnowsItBetter è la rubrica ideata e curata da Liliana Onori, l’autrice di Come il sole di Mezzanotte, Ci pensa il cielo e Ritornare a casa (ed. LibroSì). In collaborazione con LibroSì Lab, Liliana ci racconterà dal suo particolarissimo punto di vista di bibliotecaria e soprattutto di abile narratrice di storie, cosa ne pensa di libri, fiction, personaggi e molto altro. Seguila anche sul suo canale Instagram: @cipensailcielo