“E’ inammissibile che dopo 7/8 ore di lezione, in aule più o meno anguste e sovraffollate, trascorse chini sui banchi ad ascoltare lezioni, svolgere verifiche, sostenere interrogazioni, alunni di 6-14 anni siano gravati da ulteriori impegni scolastici, tutti i giorni, nel fine settimana e durante le vacanze (che tali sono soltanto per i docenti, cioè per coloro che ne impediscono il godimento a chi ne ha diritto, gli studenti, appunto): una forma di morboso accanimento che rasenta la crudeltà mentale. Basterebbe un minimo di buonsenso, di rispetto, di sensibilità, per evitare affanni, sofferenze, privazioni, conflitti famigliari, castighi, urla, pianti… che non hanno giustificazione alcuna e che suscitano odio per il sapere e repulsione per la cultura.
Che senso ha rimanere a scuola 8 ore, con brevissime interruzioni delle attività (intervalli sempre più brevi e trascorsi in classe, spesso seduti, come neppure in una caserma sarebbe tollerato) se poi si deve “studiare a casa”? Siamo di fronte a un paradosso pedagogico, e comunque alla patente, sistematica (e penosa) violazione di diritti fondamentali, al rispetto dei quali sono chiamati anche e soprattutto i docenti.
Il 27 maggio 1991, l’Italia ha ratificato, con Legge n.176, la «Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza che sancisce, per ogni bambino/a e ragazzo/a, “il diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età…» (art.31).
L’assegnazione dei compiti ai bambini che frequentano le scuole a tempo prolungato (prolungato di cosa, ci si dovrebbe domandare e si dovrebbe spiegare), precludono l’esercizio del diritto testé richiamato; in altre parole, violano una legge che impone il rispetto di bisogni fondamentali, perciò si deve ritenere illegittima. Il concetto deve essere ben chiaro: non si tratta di auspici, peraltro pedagogicamente commendevoli, ma dei diritti sanciti dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, recepiti dalla legislazione dello Stato italiano, che non devono essere limitati o vanificati, e che possono essere invocati nel caso il cui azioni, comportamenti, pratiche individuali, sociali o istituzionali ne affievoliscano o pregiudichino il godimento.
Se i compiti a casa impediscono agli studenti di riposare, giocare, ricrearsi, avere tempo libero da dedicare ad “altre” attività, ebbene si configura non solo la sconcertante e riprovevole ignoranza di elementari principi di igiene mentale e fisica (sintomo di una spaventosa mancanza di umana sensibilità), ma anche un abuso gravissimo, passibile (e meritevole) di segnalazione ai dirigenti scolastici, al Ministero dell’Istruzione, al Ministero della Salute, al Ministero della Famiglia, ai Garanti dei diritti di bambini e adolescenti…
In tal caso, la tutela dell’integrità psicofisica del minore e il rispetto dei diritti normati prevalgono sulla “libertà di insegnamento” (altro dall’arbitrio, dall’insensatezza, dalla protervia), ciò che può legittimare l’intervento prescrittivo dei Ministri competenti, e in caso di omissione o latitanza, del dirigente scolastico.
Un provvedimento a costo zero che potrebbe riconciliare gli studenti con la scuola, e rasserenare i rapporti tra studenti e docenti, tra scuola e famiglia, tra genitori e figli, e che non pregiudica la qualità dell’insegnamento come hanno ampiamente dimostrano le più avanzate e consolidate esperienze di altri Stati europei dove non si assegnano mai compiti a casa, né durante l’anno scolastico né durante le vacanze”.
Un nutrito gruppo di genitori