di Valentino Saccà
ORVIETO – Con quattro NO! di opposizione in 100 piazze italiane, il 10 novembre, si è creata una vera e propria mobilitazione contro il ddl Pillon sull’affido condiviso.
Il tanto contestato e contrastato disegno di legge creato dall’avvocato e senatore leghista Simone Pillon, si compone di ventiquattro articoli e prevede che le disposizioni introdotte, una volta entrate in vigore, si applichino anche ai procedimenti pendenti. Le riforme al diritto di famiglia che il ddl introduce sono principalmente quattro:
1 – mediazione obbligatoria e a pagamento
Il ddl Pillon, per evitare che il conflitto familiare arrivi in tribunale, introduce alcune procedure di ADR, un acronimo che vuol dire Alternative Dispute Resolution: sono metodi stragiudiziali di risoluzione alternativa delle controversie, e ne fanno parte sia la mediazione che la coordinazione genitoriale.
2 – equilibrio tra entrambe le figure genitoriali e tempi paritari
Nel ddl si dice (articolo 11) che «indipendentemente dai rapporti intercorrenti tra i due genitori» il minore ha diritto a mantenere «un rapporto equilibrato e continuativo con il padre e la madre, a ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambe le figure genitoriali e a trascorrere con ciascuno dei genitori tempi adeguati, paritetici ed equipollenti, salvi i casi di impossibilità materiale». I figli dovranno dunque trascorrere almeno dodici giorni al mese, compresi i pernottamenti, con ciascun genitore, a meno che non ci sia un «motivato pericolo di pregiudizio per la salute psico-fisica».
3 – mantenimento in forma diretta senza automatismi
Oltre che il tempo, si prevede che anche il mantenimento sia ripartito tra i due genitori. Il mantenimento diventa dunque diretto (ciascun genitore contribuirà per il tempo in cui il figlio gli è affidato) e il piano genitoriale dovrà contenere la ripartizione per ciascun capitolo di spesa, sia delle spese ordinarie che di quelle straordinarie.
4 – alienazione genitoriale
Il ddl vuole contrastare la cosiddetta “alienazione parentale” o “alienazione genitoriale”, intesa come la condotta attivata da uno dei due genitori (definito “genitore alienante”) per allontanare il figlio dall’altro genitore (definito “genitore alienato”).
Dopo un inquadramento generale veniamo ai quattro NO! secchi espressi in piazza per la firma della petizione su change.org #FermatePillon.
- NO all’imposizione di tempi paritari e doppia domiciliazione/residenza per i minori
che comportano la divisione a metà dei figli/e considerati alla stregua di beni materiali.
- NO al mantenimento diretto
perché presuppone l’assenza di differenze economiche, di genere e di disparità per le donne nell’accesso alle risorse, nella presenza e permanenza sul mercato del lavoro, nei livelli salariali e nello sviluppo della carriera.
- NO al piano genitoriale
perché incrementa le ragioni di scontro tra i genitori e pretende di fissare norme di vita con conseguenti potenziali complicazioni nella gestione ordinaria della vita dei minori.
- NO all’introduzione del concetto di alienazione parentale
proposto dal ddl che presuppone esservi una manipolazione di un genitore in caso di manifesto rifiuto dei figli di vedere l’altro genitore, con la previsione di invertire il domicilio collocando il figlio proprio presso il genitore che rifiuta e conseguente previsione di sanzioni a carico dell’altro, che limitano o sospendono la sua responsabilità genitoriale.
Anche Orvieto ha aderito a questa iniziativa per contrastare il ddl sull’affido condiviso. Il 10 novembre scorso sono scese per strada con banchetti per la petizione e volantini informativi associazioni locali contro la violenza di genere come L’Albero di Antonia e Il Filo di Eloisa.
Le proteste anti-Pillon a Orvieto si sono concluse nella serata di lunedì 12 novembre al Cinema Corso, con la proiezione del film L’Affido – Una storia di violenza, film d’esordio per il francese Xavier Legrand premiato nel 2017 a Venezia con il Leone d’argento alla regia e con il Leone del futuro – Premio Venezia opera prima “Luigi De Laurentiis”.
(Fonti: www.ilpost.it)
Recensione del film L’Affido – Una storia di violenza (2017) Xavier Legrand
di Valentino Saccà
A volte un brutto film, o semplicemente un film schematico e costruito a tesi, può risultare molto più efficace nel creare consenso collettivo rispetto ad un capolavoro. Può capitare che il capolavoro, ineccepibile sul piano formale e narrativo, non si infiammi così tanto di ardore ideologico come invece un’operina debole nella forma e programmatica nella struttura che anzi piega la forma stessa a farsi megafono di una problematica.
E’ il caso di L’Affido- Una storia di violenza, esordio dietro la macchina da presa per Xavier Legrand che dilata, forza i personaggi astraendoli in simbologie grossolane da taglio con l’accetta. Lei donna separata con due figli quasi sempre silente, dal volto smunto e biancastro, lui padre separato dalla fisiognomica lombrosiana manesco e violento la perseguita, arrivando ad un eccesso di psicopatia criminale.
L’opera di Legrand è un film costruito a tavolino, senza pietismi, senza musica extradigetica e alla ricerca di un naturalismo asciutto e crudo (stile fratelli Dardenne) ma con l’ingombrante presunzione di fare una lezione civile, morale, etica. La tensione da thriller che attraversa tutta la seconda parte è incisiva ed efficace, ma solamente per giungere ad un indirizzo ideologico chiaro già dopo la prima mezz’ora di film. Se sul piano filmico L’Affido è un’opera manicheista, di facile presa emotiva e con un costrutto narrativo schematico, è diventato il perfetto manifesto anti-Pillon, quindi efficacissimo come arma di consenso di massa.