di Gianluca Foresi
ORVIETO – Come i telegiornali ci ripropongono ciclicamente i servizi sul caldo torrido e sugli accorgimenti da adottare per difendercene, così ad Orvieto puntualmente si torna ad affrontare l’argomento del marketing territoriale, che dovrebbe essere la panacea di tutti i mali che affliggono l’urbe.
Sembra una sorta di eterno ritorno nietzschiano, o per dirla con uno dei principali assunti freudiani il ritorno del rimosso, poiché se torna appunto, è perché il problema non si è stato risolto.
Prima o poi dunque l’argomento riciccia (quale filosofo l’avrà detto?), e viene rimesso sul piatto della discussione politica, culturale, turistica ed economica e chi più ne ha più ne metta. Diventa un mantra ripetuto da coloro che sperano si traduca autonomamente in una realizzazione concreta. Oppure si spera sia utile come una parola magica: sim sala marketing o bidibi bodibi marketing a seconda che ci si sia formati alla scuola del mago Silvan o a quella della fata Smemorina di Cenerentola.
E quindi, visto che così fan tutti, ad eccezione forse di qualche san pietrino, anche io vorrei essere annoverato fra quelli che non si sottraggono dal NON aggiungere nulla di nuovo e di originale intorno a questo annoso, anzi “annoioso” tema (che De Saussure e Bergonzoni mi perdonino).
Ogni volta che mi imbatto in una frase, in una citazione o in una immagine che, direttamente o indirettamente, richiama Orvieto, penso a quanto poco sfruttiamo le opportunità che ci offre un certo tipo di cultura per promuovere o fare marketing territoriale, come dicono quelli bravi, della nostra Città.
Uno scrittore francese, Hervé Clerc, in un suo recentissimo libro parla del Pozzo di San Patrizio usando la metafora della sua straordinaria capienza. La frase in questione mi ha fatto riandare con la memoria ad un’altra situazione simile, perché, sulla copertina di un altro recente testo edito da Carocci, campeggiava il famoso particolare degli affreschi del Signorelli nel Duomo. Questi riferimenti ricorrono spesso nella letteratura mondiale e, se debitamente colti e veicolati da chi di dovere, offrirebbero da soli una eco internazionale a costo zero. Basterebbe quindi semplicemente guardarsi intorno, essere curiosi e sfruttare e cogliere umilmente tutte le opportunità che il panorama culturale mondiale ci offre su un piatto d’argento per compiere operazioni di promozione della città che altrimenti richiederebbero sforzi immani, costi esosi e tempi biblici di realizzazione.
Di esempi come questi, se ne possono contare a decine. Penso a Freud, che durante il suo soggiorno orvietano concepì l’idea alla base del libro Psicopatologia della vita quotidiana. Penso a Tommaso d’Aquino, che proprio a Orvieto ha tenuto la sua cattedra e ha portato avanti la stesura di uno dei suoi capolavori, La Catena Aurea. Penso a Uwe Johnson, uno dei più grandi scrittori tedeschi, che nel libro I giorni e gli anni racconta della visita di Jean Paul Sartre a Orvieto. E poi ancora a Marcel Proust che nella Recherche menziona la bontà del vino di Orvieto.
A Karel Čapek, scrittore praghese, che nei suoi Fogli italiani magnifica le qualità della città del Duomo. Il grande teologo Niccolò Cusano, morto a Todi, ma che nella nostra città ricoprì uffici ecclesiastici. Per venire a tempi più recenti lo scrittore Pier Vittorio Tondelli, che in Pao-Pao descrive la vita militare partendo dalla sua esperienza di recluta al Car di Orvieto. Penso a uno dei romanzi di Giorgio Scerbanenco, raffinato giallista, che ha in copertina la facciata del Duomo. Si affaccia alla mente Tommaso Landolfi che dedica un intero racconto alla sua visita di Orvieto e in particolare al suo viaggio metafisico alla scoperta del Pozzo di San Patrizio (a quando un gemellaggio con la cittadina scozzese dove nacque il santo e un patto di amicizia con l’Irlanda?).
Che fare dunque di tutte queste citazioni, e ricordi sulla nostra magnifica rupe?
Unirle forse e mapparne la città, “marchiarne” i luoghi che li hanno ispirati, una punteggiatura, come tante bandierine a indicare il passaggio delle insigni personalità che li hanno visitati e gli scritti dove sono stati menzionati.
Una toponomastica lettarario-umanistica, una guida dell’animo dove confluiscano i ricordi, le suggestioni, le emozioni di chi è stato rapito dal fascino discreto del tufo e dei suoi monumenti.
Questo certo non sarebbe sufficiente per creare un interesse forte del turista, che in realtà deve essere intercettato molto molto prima che metta il piede sulla rupe. Ecco allora che la letteratura dovrà incontrare i moderni mezzi di comunicazione per avviare un processo di promozione su larga scala, che possa diventare virale e raggiungere i più remoti angoli della terra.
Trovare un modo nuovo di Raccontare Orvieto, così da farla scoprire a chi non la conosce e ri-scoprire da chi già la conosce; attraverso i racconti di personaggi illustri far diventare finalmente Orvieto Città Narrante.
Sfruttandoli si darebbe risalto a tutti quei momenti significativi in cui la città del tufo è stata anche se se solo per una riga o una breve visita al centro del pensiero di queste grandi menti grandi, che con la loro penna e la loro testimonianza hanno fatto risuonare nel mondo il nome di Orvieto. Un nome che oggi, a mio modesto avviso e sia detto con dolore, stenta a ritrovare lo splendore dei tempi passati. Meglio sarebbe accelerare i tempi della cura e ritardare quelli del declino, abbandonando il vecchio e stantio interrogativo: Quale futuro per Orvieto? e cercando di domandarci: Quale PRESENTE per Orvieto?
Un presente che molto spesso passa attraverso la riscoperta dei quel passato, in cui menti geniali hanno viaggiato fino a poggiare il loro piede sulle strade orvietane, lasciando un’impronta indelebile. Facciamo sì che questa impronta diventi l’orma che segni la nuova presenza di Orvieto nel mercato globale turistico, attraverso un marketing territoriale-culturale che non vada alla ricerca di formule o di chissà quali ricette futuristiche o tecnologiche, ma che sfrutti semplicemente quello che è realmente un luogo pieno di bellezze architettoniche, ma soprattutto pieno anche di quegli spiriti e anime che lo hanno esperito e vissuto, lasciandoci un ricordo permanente nei loro scritti. Pronti dunque per un Marketing umanistico.