BOLSENA – Il Lago di Bolsena è un cerchio, un po’ allungato in senso longitudinale. Girarci intorno viene quasi naturale (addirittura camminando, per un solo giorno, in 10 ore) come a imitare il percorso delle lancette di un orologio, come a sognare di correre su una pista olimpica. Corta solo sulla mappa. Lunga nella realtà, 54 chilometri, alla corda. La Carrareccia ci si poggia sopra, in uno dei suoi percorsi. Ma poi offre molto di più. Si allunga fino ad acciuffare l’Umbria, inerpicandosi fino a Orvieto, stampando maglie e telai contro la pareti e la facciata di un duomo stupendo, il Duomo. E poi ancora giù e su, terre di confine, autentiche e nervose e strade spesso sterrate. Ciottoli che saltano e volano da ruote che affondano e frenano. Mai un attimo di respiro, ogni pedalata conta, ogni pedalata pesa e ogni pedalata è una frase in più scritta nel romanzo prezioso delle storie personali di una bicicletta d’epoca.
Il ciclismo è d’epoca, ma è un’epoca che non passa mai. Si evolve continuamente, cambia rapporti e catene, scala e rilancia, ma continua a girare. Il legame col passato è di quelli che non si sciolgono, per il concetto stesso di ciclo. Che è un mezzo ma anche una sensazione, una attrazione, una esigenza quotidiana che ha vinto la voracità del tempo con la sua disarmante e complessa semplicità. Due ruote, quelle che bastano per reggersi in equilibrio, ogni tanto cadere, imparando a rialzarsi.
Chi pedala lungo le strade della Carrareccia lo fa tra vigne verdi e grano giallo, colline contorte e viste su ampie vallate, Orvieto di lato, Montefiascone di fronte. E poi il lago, sempre sul lato destro, piatto e calmo di stagione, oppure mosso e turbato, come domenica scorsa, sotto una pioggia bagnata e a tratti martellante. Quasi autunno.
Chi pedala lungo le strade della Carrareccia ogni tanto si ferma e mangia nei ristori, tanti, abbondanti, genuini e curati. Anche chi si diverte a fotografare la Carrareccia assaggia qualcosa. Ma non entriamo nei dettagli…
Chi pedala lungo le strade della Carrareccia lo fa da solo o in gruppo, per una missione personale o condivisa, per vincere se stesso o per non perdere peso. Perché, alla fine, da quest’anno, vince anche chi pesa di più.
Bisogna pedalare per sentire fino in fondo il sapore di una bici. Ma basta anche ascoltare e osservare per imparare a conoscere i suoi ingredienti. Che sono materiali e immateriali. Sono corone, telai e leve, ma anche storie quotidiane e grandi, storie di spinte e di medaglie, a colori e in biancoenero, storie di omini con le ruote, storie d’altri tempi, di prima del motore. E allora si riesce a pedalare, per un attimo, anche solo chiudendo gli occhi.