di Valentino Saccà
ORVIETO – E’ possibile dipanare il mistero che si cela dietro la nascita del metodo psicanalitico freudiano? Cosa lega misteriosamente l’Apocalisse dipinta da Luca Signorelli nella Cappella di S. Brizio al Duomo di Orvieto al Mosè michelangiolesco nella basilica di San Pietro in Vincoli a Roma se non il genio del grande viennese Sigmund Freud?
Tutto questo è contenuto e analizzato tra rigore accademico e gioco filosofico da Guido Barlozzetti nel suo “HERR – Freud, Signorelli, Mosè il REBUS” che ha visto la prima sul palcoscenico del Teatro Mancinelli di Orvieto venerdì 28 aprile e di cui l’associazione ApertaMenteOrvieto è stata partner. Il mistero Freud messo in scena da Barlozzetti parte da un buco, un vuoto che ha temporaneamente cancellato il nome del pittore Luca Signorelli dalla memoria di Freud dopo il suo viaggio a Orvieto, mantenendo però vivissima l’immagine degli affreschi.
Il Dr. Freud mentre era in viaggio su un calesse verso la Bosnia Herzegovina cerca di ricordare il nome del pittore. Ecco che da questo buco Barlozzetti costruisce un intrigantissimo gioco speculativo tra immagini (gli affreschi del finimondo) e parole che si intersecano una con l’altra: Herr, ovvero signore in tedesco, Herzegovina, Botticelli, Boltraffio, e infine.. Signor-elli. Tutto questo gioco-indagine pone al proprio centro la figura di Freud al contempo indagatore e indagato, paragonato perfino a Sherlock Holmes e come il celebre detective di Sir Arthur Conan Doyle dipendente dalla cocaina.
Nel proseguo dello spettacolo si da anche ampio spazio al nutrito carteggio tra Freud e l’amico Dr. Wilhelm Fliess e attraverso queste epistole si mostra un Freud allo specchio, quasi una figura bergmaniana, complessa, sfaccettata che cede all'(auto)confessione.
In tutto questo cosa centra Mosè? Mosè l’uomo eletto da Dio per portare in salvo il popolo ebraico, a cui furono consegnate le tavole delle leggi è il protagonista dell’ultimo testo realizzato prima della sua morte da Sigmund Freud, e il Mosè di Michelangelo per Freud rappresenta il Padre, figura che poi riporta al genitore di Sigmund, al rapporto difficile vissuto con lui durante l’infanzia e poi la morte del padre, il funerale e il sogno successivo in cui appariva il cartello con scritto: Si prega di chiudere gli occhi.
Ecco che questa azione di dover chiudere gli occhi per vedere meglio è una sorta di visione-chiusa, uno spalancare-chiudendo, un Eyes Wide Shut. Appunto dopo aver pedinato il Kubrick-cervello, Guido Barlozzetti passeggia tra le cellule grigie del Dr. Freud in cui dato e probabilità, sogno e arte, psicanalisi e filosofia si congiungono e Barlozzetti di spalle e con il sigaro acceso diventa l’oggetto stesso della propria indagine.