di Gianluca Foresi
Con estrema gioia accolgo l’istituzione e lo svolgimento ad Orvieto della Settimana dell’Arte, legata all’Art Bonus, istituito nel 2014, che permette a cosiddetti mecenati di effettuare delle erogazioni liberali in denaro per sostenere e favorire il patrimonio culturale e lo spettacolo. Aggiungo che tali erogazioni non sono fine a se stesse o a fondo perduto, diciamo cosi, ma danno diritto al credito di imposta.
In queste giornate si sottolinea l’importante presenza del volontariato, grazie ad un paio di iniziative, inserite nel cartellone generale, che avranno come protagonisti volontari dell’arte e gli studenti dell’IISACP. Encomiabile dunque l’averli inseriti tra gli attori di questa settimana.
Fin qui tutto bene e tutto estremamente interessante e condivisibile, specie per quegli eventi dove si riscontra il desiderio di mettere in risalto personalità e artisti che a Orvieto hanno vissuto e che tanto hanno dato all’arte, non solo locale, penso all’evento dedicato all’indimenticato Livio Orazio Valentini.
Scorrendo il programma però si viene colpiti di contro, con estremo dispiacere, dal fatto che alla voce “Incontroseminario: Art Bonus per la cultura e cultura della donazione” fra i tanti ospiti non sia stata considerata la presenza di rappresentanti delle molte associazioni culturali e sociali del territorio, che si fondano sulla cultura delle donazione. Una donazione che per molti motivi non è principalmente quella in denaro, anche se qui si potrebbe aprire una lunga parentesi al riguardo, ma rientra invece in quella della propria esperienza, delle proprie passioni, dell’amore per la città e soprattutto quella del proprio tempo, che, come recita un adagio, è prezioso fino ad essere definito Denaro.
Ma non finisce qui. Il contributo che queste persone danno, lontanissimo da interessi particolari, se non quello di veder viva e far crescere la città nella quale operano e forse anche per il piacere di veder riconosciuto il proprio sforzo e “lavoro”, non si esaurisce nell’evento in sé, ma incide in qualche modo anche sul luogo che si sceglie e che viene eletto a teatro della rappresentazione e dell’evento.
Questi luoghi – piazze, palazzi, musei, biblioteche, chiese, siti archeologici – utilizzati come palcoscenici attraggono su di sé l’interesse del pubblico, di sponsor, di operatori economici, della stessa amministrazione, di organi d’informazione e le attività che in essi vi si realizzano ridanno spesso luce e vitalità a spazi poco frequentati, dimenticati e lasciati morire. Questi interventi sono prima dedicati all’anima del luogo e poi in secondo luogo (i giochi di parole sono e-voluti) anche alla possibilità di riportarli a nuovo splendore con interventi di pulizia, ripristino e attenzione da parte di altri mecenati, che un domani potrebbero investirci capitali per salvarli dall’oblio. Non solo, ci sono casi in cui le stesse iniziative portate avanti volontari del tempo hanno permesso incamerare finanze che vengono reinvestite nella ristrutturazione, nella salvaguardia e nella tutela di beni architettonici.
Per venire al livello locale e parlare più nello specifico della realtà orvietana, suona come un campanello d’allarme il fatto che nessuna delle associazioni che da anni, ma anche chi da meno tempo, si spende sul territorio cercando di pro-muoverlo e renderlo vivo con impegno, sacrifico, dedizione e spesso anche sottostando a forti critiche in nome della polemica tout court, sia stata chiamata a dare un contributo ideale e a far ascoltare la propria voce ed esperienza: penso a Orvieto in Fiore, che ha ridato luce a luoghi dimenticati o nuova vita alla Piazza del Popolo, oggi al centro dello scontro politico; penso ai ragazzi di Santa Perduta, che rivitalizzano lo splendido giardino sotto la chiesa di san Giovenale e lo stresso dicasi dei volontari del presepe vivente;
penso agli organizzatori dell’Atomic Garden e alla divertente iniziativa di A Bouche bée; penso ai volontari del FAI; penso (anche se interessato) alla neonata Orvieto1264, che con la prima edizione dei Ludi alla Fortezza ha riportato attenzione e, mi permetto di dire, lustro a un luogo simbolo della nostra storia, ma che ormai era relegato idealmente, e non solo, alle propaggini quasi remote del centro storico, e che di recente veniva ricordato solo per tristi vicende; penso, infine, soprattutto all’associazione Lea Pacini, che nonostante tutte le sue contraddizioni e beghe interne, ha in tutela uno dei beni più preziosi che la città possieda, dopo il Duomo, il Pozzo di San Patrizio e i siti archeologici, e sorprende che il patrimonio dei costumi, da tutti voluto salvare dalla inesorabile legge del tempo, non sia stato inserito nell’elenco delle opere su cui l’Art Bonus con i suoi mecenati potrebbe intervenire per strapparlo all’usura di quel Tempo che in questo caso è nemico dell’arte. Tante poi quelle che dimenticherò sicuramente in questo elenco e me ne scuso anticipatamente.
Insomma accolgo con enorme favore lo sforzo di mettere insieme tante energie e convogliarle dentro questo evento che fa compiere culturalmente un passo avanti rispetto ai primi tre anni di consiliatura, ma non posso non far notare che è risultato altresì un piccolo passo indietro e un inciampo che si sarebbe potuto evitare, soprattutto alla luce del sempre evidenziato desiderio dell’attuale maggioranza di coinvolgimento e condivisione delle tante realtà presenti e che con discreto successo operano sul territorio. Mi auguro infine che la seconda edizione della Settimana dell’Arte terrà in considerazione queste realtà di mecenatismo e i loro appartenenti che investono sulla città donando il proprio tempo, che è forse anche più prezioso del denaro, se speso al servizio di nobili e disinteressate cause.