di Valentino Saccà
Ferrarese di nascita, vissuto poi per anni a Ficulle, il maestro del documentario naturalistico Folco Quilici ci ha lasciati sabato scorso all’età di 87 anni, spegnendosi all’ospedale di Orvieto.
Figlio del giornalista Nello Quilici, Folco è stato da molti considerato il Jacques Cousteau italiano per la sua smisurata passione per il mare e la fauna che lo abita. In realtà le cose non stanno proprio così, Cousteau era un naturalista mentre Quilici è stato un autentico cineasta e di che livello, basterebbe rivedere il suo lungometraggio d’esordio Sesto Continente, presentato alla 15ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia nel 1954.
Documentario didattico, esotismo avventuroso e gusto fiabesco ne fanno un’opera ancora oggi meravigliosa e storicamente citata come primo film a colori della cinematografia subacquea italiana.
L’approccio di Quilici al mondo sottomarino, ai mari del Sud e alle isole della Polinesia ( Ti-Koyo e il suo pescecane -1962- è un capolavoro indiscusso) è sempre stato in preciso equilibrio tra la forma didattica, vicina a Rossellini, e la fiaba gentile, dove l’apprendimento scolastico viene magnificato dalla stupefazione mitica per una perduta età dell’oro.
Lontano dal verismo della Panaria Film e prendendo a modello la lezione dell’americano Robert Flaherty nel filmare i grandi spazi aperti, il naturalismo di Quilici nella sua dimensione naif e fiabesca, resta sempre una grandissima lezione morale all’ombra del progresso speculativo, a favore della conservazione paesaggistica e delle tradizioni autoctone.
Vincitore dell’Orso d’argento a Berlino nel 1957 con Ultimo Paradiso e del David di Donatello alla regia nel 1972 con Oceano, Quilici durante gli anni vissuti nell’Orvietano si è interessato al territorio circostante e all’antichissima civiltà etrusca, a cui dedicò diversi documentari tra cui Il territorio degli Etruschi e uno specifico sulla città di Orvieto, Gioielli di Pietra: Orvieto, senza dimenticare Todi, con Todi Città da Salvare.
Dal naturalismo marino all’esotismo polinesiano, fino all’archeologia etrusca, Folco Quilici è stato un cineasta, tra i pochi in Italia insieme a Rossellini e Antonioni, a far parlare anche le pietre dandogli un’anima e filmando la natura nella sua superba predisposizione alla fotogenia.